
I VINI D’ITALIA GIUDICATI DA PAPA PAOLO III (FARNESE ) E DAL SUO BOTTIGLIERE SANTE LANCERIO
Della Natura De’ Vini Et De Viaggi Di Paolo III — Operetta Tratta Dai Manoscritti Della Biblioteca Di Ferrara E Per La Prima Volta Pubblicata Da Giuseppe Ferraro
SANTE LANCERIO
Sante Lancerio visse nella prima metà del XVI secolo e fu il bottigliere di papa Paolo III Farnese, pontefice dal 1534 al 1549. È considerato il primo sommelier della storia moderna.
Lancerio nacque probabilmente intorno al 1500. Non si hanno notizie certe sulla sua origine e formazione, ma lui stesso afferma che Lucca fu la sua “patria in quanto allo spirituale”, lasciando intendere che prese i voti o si formò come religioso in quella città. Questa formazione gli consentì poi di entrare a far parte dell’officium della bottiglieria papale.
Come bottigliere pontificio, Lancerio aveva la responsabilità dell’approvvigionamento e del servizio dei vini per il papa, sia presso la corte che durante i viaggi. Svolse questo compito con passione e competenza, assaggiando, selezionando e descrivendo le diverse qualità di vini destinati alla mensa papale. Lancerio accompagnò Paolo III nei suoi viaggi in Italia e in Francia, avendo così modo di conoscere e apprezzare vini di diverse regioni. Durante questi spostamenti, non mancava di annotare le caratteristiche dei vini locali e talvolta anche la bellezza delle donne del posto.
La sua opera principale è una sorta di lettera-trattato sui vini italiani indirizzata al cardinale Guido Ascanio Sforza, nipote del papa. In questo scritto, Lancerio descrive minuziosamente 55 diversi vini, fornendo giudizi e considerazioni che rivelano un approccio analitico e una terminologia già molto simile a quella dei sommelier contemporanei. Riporta anche per ciascun vino i commenti e le preferenze di papa Paolo III, grande estimatore di questa bevanda.
Tra i vini preferiti dal papa e dallo stesso Lancerio spiccano la Malvasia di Candia, il Moscatello di Taggia, il Greco di San Gimignano, il Nobile di Montepulciano. Ma è il vino di Monterano, nel Lazio, a ricevere le lodi più alte, essendo giudicato senza eguali in tutta Italia.
L’opera di Sante Lancerio, pubblicata per la prima volta nel 1876, rappresenta una testimonianza unica della cultura enologica del Rinascimento e del ruolo chiave svolto dalla figura del bottigliere nelle corti dell’epoca. Grazie al suo stile vivace e competente, Lancerio può a buon diritto essere considerato un precursore della moderna sommellerie.
Non ci sono pervenute notizie certe sulla data di morte di Sante Lancerio, ma si presume sia avvenuta intorno alla metà del XVI secolo, forse non molto tempo dopo la scomparsa del suo protettore Paolo III nel 1549.

Dal bottigliere del papa al sommelier contemporaneo: il linguaggio della degustazione in Sante Lancerio
Leggendo l’opera di Sante Lancerio “Della natura de’ vini et de viaggi di Paolo III”, scritta intorno alla metà del XVI secolo, non si può fare a meno di notare come il linguaggio usato dal bottigliere pontificio per descrivere i vini presenti sorprendenti analogie con la terminologia della moderna sommellerie. Lancerio, nel valutare le caratteristiche dei 55 vini da lui catalogati, ricorre infatti a una serie di termini e aggettivi che sembrano usciti dalla bocca di un esperto degustatore dei giorni nostri.
Ecco un confronto tra i termini utilizzati da Lancerio e quelli odierni:
Colore e aspetto:
“Bianco”, “dorato”, “rosso”, “rubino”: questi termini sono ancora ampiamente utilizzati per descrivere le tonalità di base dei vini bianchi e rossi.
“Carico”: corrisponde a termini come “intenso” o “profondo”, riferiti alla concentrazione del colore. Un vino “carico” si riferirebbe principalmente all’intensità del colore. Per i vini rossi, un vino carico avrebbe un colore intenso, profondo e vivace. Nei vini giovani, potrebbe tendere verso tonalità più fredde come il rosso violaceo. Per quanto riguarda i vini bianchi, un vino carico presenterebbe un colore giallo intenso. In generale, la carica di colore è più evidente nei vini giovani e tende a diminuire con l’invecchiamento nei vini rossi.
“Incerato”: oggi si usano termini come “ambrato” o “color oro antico” per descrivere sfumature simili. Le candele erano fatte di cera d’api e non di paraffina e quindi possedevano un colore giallo con riflessi verdognoli. Oggi sappiamo che un vino dalle tonalità giallo dorate poco vivaci è indice di ossidazione. Si tratta di un vino non del tutto alterato, “rotto”, senza ancora odore e sapore sgradevole, a seguito di processi ossidativi di casse ossidasica.
“Verdeggiante”: si usa ancora per indicare riflessi verdi nei vini bianchi o rosati giovani.
“Scarico”: un vino “scarico” avrebbe tenui e trasparenti. Per i vini rossi, presenterebbe un colore meno intenso, più tenue. Nei vini rossi più vecchi, il colore tende a diventare più scarico con il tempo, virando verso tonalità più calde come il rosso mattone o aranciato. Per quanto riguarda i vini bianchi, un vino scarico avrebbe un colore più pallido o meno intenso rispetto ad altri della stessa tipologia.
Profumo:
“Odore di viola mammola”: l’associazione con fiori specifici è una pratica comune nella descrizione degli aromi del vino. Oggi si usano riferimenti a un’ampia gamma di fiori, frutti e altre note olfattive.
“Odorifero”: un vino definito come “odorifero” nel 500 probabilmente corrisponderebbe a un vino che oggi verrebbe descritto come intensamente profumato, con aromi complessi e gradevoli, privo di difetti olfattivi, e con una forte espressione delle caratteristiche varietali del vitigno. Potrebbe essere paragonato a vini aromatici moderni che presentano un bouquet ricco e ben sviluppato.
Gusto:
“Acetoso”: Per Lancerio, i vini acetosi erano di bassa qualità e sgradevoli. Li caratterizzava per il sapore acido e pungente, simile all’aceto, con un odore sgradevole e penetrante. Questi vini tendevano a irritare la gola, avevano spesso un colore torbido o alterato e mancavano di corpo e struttura. Lancerio attribuiva l’acidità eccessiva a una cattiva vinificazione o conservazione inadeguata. Considerava questi vini inadatti al consumo, specialmente per persone di alto rango come il Papa e la sua corte. Consigliava di evitarli, preferendo invece vini ben equilibrati, con un giusto rapporto tra dolcezza e acidità, e con aromi gradevoli.
“Agrestino”: fa pensare a un vino poco maturo che il Lancieri in alcune descrizioni oppone al “grasso”, con sentori di “agresto” uva poco matura usata nella cucina dell’epoca come salsa e come conservante dei cibi.
“Amabile”, “Dolce”, “Stomachevole”: termini ancora utilizzati per indicare la presenza di zuccheri residui. Abboccato, quando ha un residuo zuccherino tra i 4g/l e i 12 g/l. Amabile, quando ha un residuo zuccherino tra 12 e 45 g/l. Dolce, quando ha un residuo zuccherino superiore ai 45 g/l. Oltre si tratta di un vino Stucchevole.
“Catarroso”: a parte che nel 500 tutti i vini erano sconsigliati in caso di “catarro caldo”, perché catarrosi di loro natura, erano vini particolarmente ricchi di solfiti.
“Cotognino”: fa pensare a note di frutta, come “mela cotogna” e al tempo stesso acidulo e poco dolce o forse di “cotognata”, stesse note fruttate ma più dolce.
“Flemmatici”: un “vino flemmatico”, secondo Sante Lancerio, potrebbe esser tale per i suoi effetti rilassanti e sedativi su chi lo beve, analogamente al temperamento flemmatico caratterizzato da tranquillità e inerzia. A differenza di vini stimolanti, indurrebbe uno stato d’animo pacato e disteso, favorendo il torpore fisico e mentale. Poco alcolico e tannico, non aggredirà il palato né aumenterà battito e respiro, ma li calmerà con un impatto morbido e delicato. L’effetto sarà simile a un blando sonnifero, rallentando le funzioni vitali e riconducendo a una dimensione vegetativa, proprio come nell’individuo flemmatico.
“Fumoso”: Sante Lancerio definisce fumosi i vini molto carichi ci alcool, oggi si direbbero vini caldi.
“Garba” (secca) e “Asciutto”: equivalente a “secco”, indica l’assenza di dolcezza. Secco, quando ha un residuo zuccherino fino a 4g/l.
“Grande”: Secondo l’opinione dell’epoca erano grandi quei vini che oltre all’amabile possedevano anche del fumo, quindi moderatamente dolci e caldi.
“Grasso”: per il Lancerio è un difetto che ancora oggi attribuiamo ad un vino nel valutarlo all’atto della mescita. Quando si versa il vino questo può scendere nel bicchiere in modo leggero oppure oleoso, e ciò dipende dalla ridotta componente alcolica. Un vino forse troppo maturo perché viene opposto dall’autore a vini agrestini, troppo freschi e quindi poco maturi
“Grosso”: cioè carico di colore, e che molto si fa sentire alla bocca, e allo stomaco. Il vino grosso, o “terrestre e grosso”, si presenta come l’opposto del vino sottile. Ha una consistenza più pesante e densa, che lo rende difficile da digerire e da assorbire nelle vene. Questo tipo di vino appesantisce lo stomaco e non favorisce la diuresi. A causa della sua pesantezza e densità, il vino grosso tende a salire lentamente alla testa, ma paradossalmente non provoca facilmente l’ubriachezza. Può avere un odore poco gradevole o addirittura nessun odore, a differenza dei vini più leggeri e raffinati che tendono ad avere un aroma piacevole e distintivo. Questo tipo di vino corrisponde oggi a vini strutturati, corposi.
“Lapposo”: richiama termini come “tannico” o “astringente”, riferiti alla sensazione tattile data dai tannini.
“Matroso”: lo stesso Ferraro ci dice che si tratta di un vino con feccia o deposito. La presenza di feccia o deposito, rappresenta una componente naturale del processo, derivante dai residui organici dell’uva e dei lieviti utilizzati nella fermentazione. Questo aspetto indica che il vino si trova in una fase successiva alla fermentazione alcolica. Sebbene tradizionalmente considerata indesiderata, la feccia può in alcuni casi contribuire positivamente alla qualità del vino, come nella tecnica di affinamento “sur lies” usata per alcuni vini bianchi per aumentarne corpo e complessità. Nella maggior parte dei casi, ancora oggi, la presenza di feccia suggerisce che il vino necessita ancora di filtrazione o separazione per raggiungere la sua forma finale. Se non gestita correttamente, la feccia può portare allo sviluppo di odori sgradevoli nel vino a causa della lisi delle cellule.
“Maturo”: si usa tuttora per indicare vini che hanno raggiunto il loro apice evolutivo.
“Molle”: per Sante Lancerio erano vini con poco corpo e robustezza. Oggi, tecnicamente, un vino è definito molle per la quasi totale assenza di tannicità, ma il termine è ancora usato con poca chiarezza definendo anche vini bianchi di scarsa freschezza o vini di poco corpo o di poca alcolicità.
“Mordente”: un vino frizzante.
“Opilativo”: ostruttivo, “Opilativo, deriva dall’uso eccessivo di esso; come quando si beve troppo vino, invece di confortarsi e riscaldarsi, si creano e alimentano malattie fredde, perché la natura non riesce a superarlo né a trasformare una così grande quantità in buon nutrimento.”
“Possente”, “forte”: richiamano termini come “robusto”, “corposo”, “potente”, usati per vini di grande struttura.
“Polputo”: vino polputo, vale vino gagliardo e di grande sostanza.
“Pastoso”: questo vino, oggi come allora, si distingue per la sua marcata pastosità al palato. La morbidezza domina nettamente, superando le sensazioni di durezza come acidità, sapidità o tannicità nei rossi. Al gusto, si avverte immediatamente una rotondità e pienezza dovute all’alta concentrazione di polialcoli, principalmente glicerolo, risultanti dalla fermentazione alcolica. Se passito o dolce, la pastosità è intensificata dagli zuccheri non fermentati, creando un equilibrio ricco tra dolcezza e untuosità. La temperatura di servizio più è alta più si accentua la pastosità.
“Tondo”: corrisponde a “morbido”, “rotondo”, oggi riferito a vini con buona struttura e pochi spigoli. Secondo un esperto di vino nel 1651, il vino tondo è una categoria di vino che si colloca tra i vini dolci e i vini bruschi (aspri). È caratterizzato da un equilibrio gustativo particolare, privo di spiccate note dolci o aspre. Il suo sapore è descritto come “saporito” e “tondo”, suggerendo una piacevole rotondità al palato senza estremizzazioni gustative.
“Sottile”: contrario di grosso, cioé di poco corpo. Il vino sottile, o “sottile acquoso”, è caratterizzato da una consistenza leggera e una colorazione chiara e bianca. Questo tipo di vino è facilmente digeribile, viene assorbito rapidamente dallo stomaco e passa velocemente nelle vene. Ha la proprietà di stimolare la diuresi ed è considerato utile per chi ha la febbre, poiché non riscalda eccessivamente il corpo e non ha effetti negativi sulla mente, sul cervello o sui nervi. Il vino sottile è particolarmente efficace nel placare la sete, soprattutto se non diluito con acqua. Questo tipo corrisponde a vini leggeri, freschi e di facile beva.
Preparazione:
“Cotto”: la cottura del vino è un metodo tradizionale di vinificazione, nato da necessità di conservabilità. Il procedimento per i vini cotti prevede di far bollire il mosto in caldaie fino a ridurne il volume di un terzo circa. Il mosto cotto viene poi fatto fermentare in botti senza aggiunta di bucce o raspi. In alcuni casi, il mosto cotto viene aggiunto in proporzioni stabilite a mosto crudo per ottenere un vino più stabile. Questa cottura conferisce ai vini particolari caratteristiche: sono molto alcolici, corposi, di gusto deciso e si conservano a lungo, migliorando con l’invecchiamento. Tuttavia risultano meno digeribili e salubri. Il metodo di vinificazione con cottura parziale del mosto permetteva in passato di produrre vini stabili e longevi anche partendo da uve non perfettamente mature o provenienti da vitigni produttivi ma non eccelsi. Era una risposta alla necessità di conservare il vino in epoche in cui le tecniche enologiche erano limitate. Tuttavia, i vini così ottenuti non soddisfacevano il gusto delle classi più elevate, orientato verso prodotti più leggeri e fragranti.
“Crudo”: i vini crudi venivano invece prodotti con metodi più simili all’enologia moderna. Le uve, raccolte a maturazione, vengono pigiate e il mosto ottenuto viene fatto fermentare in botti, talvolta con l’aggiunta di una certa quantità di bucce (vinacce). La fermentazione dei vini crudi avviene senza riscaldamento del mosto e in tempi più brevi rispetto ai vini cotti, solitamente 15–20 giorni. Al termine, il vino nuovo viene separato dalle fecce grossolane e conservato in botti chiuse. Rispetto ai vini cotti, i vini crudi sono meno alcolici e corposi, con aromi più freschi e fragranti. Tuttavia, proprio per l’assenza di stabilizzazione data dalla cottura, sono anche più fragili e deperibili. Spesso non superano la stagione estiva senza alterazioni, a meno di non adottare particolari cure come solfitazioni e stoccaggio in locali molto freschi.
“Di vigna vecchia”: Anche Sante Lancerio sembra conoscere il detto di ohni buon cantiniere e bottigliere come sarà poi riportato dal testo Il perfetto mastro di casa di Francesco Liberati romano. 1658: “Richiedesi anche l’esatta cognitione della qualità de’vini, il sapere che siano di vigna vecchia, di paese montuoso, e di colle esposto al Sole, sani, sottili, odorosi, maturi, spiritosi, e di color d’oro, e di rubino. Nella tradizione enologica italiana, i vini da vigne molto vecchie sono particolarmente apprezzati per la loro superiore qualità. Si ritiene che le viti di età avanzata, grazie a radici profonde, vigoria contenuta e una selezione naturale nel tempo, producano uve di maggiore concentrazione e complessità aromatica. Le vigne vetuste hanno apparati radicali estesi che assicurano un nutrimento costante anche in annate difficili. La ridotta produzione di grappoli, unita ad un ottimale rapporto tra foglie e frutti, permette una perfetta maturazione delle uve. Queste sono spesso più piccole, con alta proporzione di buccia e semi, quindi più ricche in aromi e polifenoli. Inoltre, le vigne molto longeve rappresentano il meglio del loro vitigno, selezionato nel tempo per resistenza e qualità.
Non manca nemmeno qualche accenno al cosiddetto retrogusto, ovvero alle sensazioni che permangono in bocca dopo la deglutizione. Lancerio parla infatti di vini che lasciano in bocca un sapore moscato, come se si fosse “bevuto o mangiato la più moscata cosa che si possa”.
Fin qui le innegabili corrispondenze con il linguaggio attuale della degustazione. Ma Sante Lancerio in alcuni punti si spinge anche oltre, precorrendo concetti che oggi definiremmo di abbinamento cibo-vino. Il bottigliere suggerisce per esempio di consumare il Greco di Somma con “zuppa” o “fico buono, mondo et inzuccherato”, a seconda della stagione. Intuizioni che dimostrano una sensibilità già molto moderna.
In conclusione, l’opera di Lancerio rappresenta non solo una preziosa testimonianza sulla cultura enologica del Rinascimento, ma anche una prova di come il linguaggio della degustazione affondi le sue radici in un sapere antico, che i sommelier di oggi hanno ereditato e perfezionato. Un ponte ideale tra il bottigliere del papa e l’odierno professionista del vino, uniti da una comune passione per questo straordinario prodotto della terra e del lavoro dell’uomo.

Sante Lancerio e il suo trattato sui vini: un classico riscoperto
L’opera di Sante Lancerio “Della natura de’ vini et de viaggi di Paolo III”, scritta intorno alla metà del XVI secolo, rappresenta un unicum nel panorama della letteratura enologica del Rinascimento. Si tratta infatti della prima testimonianza in volgare italiano di una degustazione ragionata e sistematica di un ampio campionario di vini, ben 55, provenienti da diverse regioni della penisola.
L’importanza di questo testo, riscoperto e pubblicato per la prima volta solo nel 1876 dal professor Giuseppe Ferraro, risiede in diversi aspetti. In primo luogo, esso ci offre uno spaccato straordinario sulla cultura enologica dell’epoca, mostrandoci quali fossero i vini più apprezzati e ricercati, nonché i criteri con cui venivano valutati. I giudizi espressi da Lancerio, pur con i limiti di una terminologia ancora acerba, rivelano una notevole competenza e una sensibilità quasi moderna nel cogliere le sfumature di colore, profumo e sapore dei vini.
In secondo luogo, il trattato di Lancerio ha il merito di portarci dentro le stanze del potere, facendoci assaggiare i vini preferiti da papa Paolo III Farnese, di cui l’autore era il bottigliere personale. Grazie a questa sua posizione privilegiata, Lancerio poteva accedere ai migliori vini provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, selezionati per soddisfare il palato esigente del pontefice. Le sue annotazioni ci restituiscono quindi l’immagine di una corte papale raffinata e attenta alle gioie della tavola, dove il vino giocava un ruolo di primo piano.
Ma l’opera di Lancerio non è solo un documento storico. La sua riscoperta in epoca moderna ne ha decretato il successo e l’ingresso nel novero dei classici della letteratura enologica. Merito della prosa vivace e immediata dell’autore, capace di trasmettere con efficacia le sue impressioni di degustazione. Merito anche della passione sincera che traspare dalle sue parole, quella di un uomo che amava profondamente il vino e che aveva fatto di questa passione il suo mestiere.
Non è un caso, quindi, che il trattato di Lancerio sia diventato un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi di storia della vite e del vino, ma anche per gli appassionati e i professionisti del settore. Le sue pagine sono citate e commentate in innumerevoli saggi, articoli e blog specializzati, a riprova dell’interesse sempre vivo per questo singolare documento del passato.
In conclusione, l’opera di Sante Lancerio rappresenta un tassello fondamentale per comprendere l’evoluzione del gusto e della cultura del vino nel nostro Paese. La sua riscoperta ha permesso di gettare un ponte tra passato e presente, mostrando come la passione per questo straordinario prodotto affondi le radici in una tradizione secolare, di cui il bottigliere di Paolo III fu uno dei più illuminati interpreti.
PAOLO III FARNESE.
Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, fu un pontefice rinascimentale noto non solo per il suo importante ruolo nella Chiesa, ma anche per la sua grande passione per i piaceri della vita, in particolare per il buon vino.
Stando alle testimonianze del suo fidato bottigliere Sante Lancerio, il papa amava degustare una grande varietà di vini, sia italiani che stranieri, facendone un consumo quotidiano considerevole. Non disdegnava nessuna tipologia, dagli amabili ai più robusti, ma aveva una predilezione per i vini dolci e aromatici come il Moscatello di Taggia e la Malvasia greca.
La sua corte pontificia era rinomata per le ingenti spese destinate all’acquisto di vini pregiati. Nel 1538, ad esempio, ben il 25% del budget della famiglia papale fu dedicato a rifornire le cantine vaticane con oltre 72.000 litri dei migliori nettari provenienti da tutta la penisola.
Paolo III era un fine intenditore. Lancerio ricorda come apprezzasse particolarmente il vino di Monterano nel Lazio, da lui definito imbattibile per colore, profumo e sapore. Amava anche i vini campani come il Greco di Somma, che oltre a bere usava per scopi terapeutici, bagnandosi gli occhi e le parti intime.
Questo amore smodato per il vino portò il pontefice anche a gesti estremi. Si narra che al ritorno da un viaggio in Francia nel 1538, per celebrare la gioia provata ordinò di dare fuoco a 16 grandi botti vuote davanti a Palazzo San Marco, in uno spettacolare falò che dovette lasciare a bocca aperta i presenti.
La passione enologica di Paolo III fu dunque pari solo alla sua importanza come pontefice. Le cronache del suo bottigliere Sante Lancerio restano una testimonianza unica di come anche per un papa del Rinascimento il buon vino fosse fonte di piacere, convivialità e persino di cura del corpo e dello spirito. Una passione smodata ma profondamente umana.
GIUSEPPE FERRARO
Giuseppe Ferraro è stato un importante filologo e studioso delle tradizioni popolari italiane, nato a Carpeneto, in provincia di Alessandria, il 24 settembre 1845 e morto a Massa il 19 giugno 1907.
Dopo aver completato gli studi universitari a Pisa, dove si laureò in lettere e filosofia nel 1869, Ferraro entrò nella prestigiosa Scuola Normale Superiore, rimanendovi fino al 1870. In questo ambiente stimolante, ebbe modo di coltivare il suo interesse per lo studio delle tradizioni popolari, iniziando a raccogliere novelle e canti del Monferrato già nel 1868, su consiglio del professore Domenico Comparetti.
La carriera di Ferraro si sviluppò principalmente come insegnante ginnasiale e liceale, ricoprendo anche i ruoli di preside e provveditore agli studi. La sua attività nel campo dell’istruzione lo portò a spostarsi in diverse città italiane, tra cui Mazara del Vallo, Lucera, Vibo Valentia, Ferrara, Parma, Sassari, Reggio Emilia, Cuneo e infine Massa, dove morì nel giugno del 1907.
Parallelamente all’insegnamento, Ferraro si dedicò con passione allo studio del folklore italiano, collaborando con importanti riviste come l’Archivio delle tradizioni popolari di Giuseppe Pitrè e la Rivista delle tradizioni popolari italiane di Angelo De Gubernatis. Pubblicò numerosi testi antichi e lavori di raccolta ed elaborazione, tra cui “Canti popolari monferrini” (1870), “Canti popolari di Ferrara, Cento e Pontelagoscuro” (1877), “Superstizioni, usi e proverbi monferrini” (1886), “Tradizioni e usi popolari ferraresi” (1887), “Glossario monferrino” (1889), “Folklore dell’agricoltura in Sardegna e nel Monferrato” (1892), “Canti popolari sardi” (1891), “Il fuoco nelle tradizioni popolari” (1893) e “La casa nel folklore” (1898).
Il contributo di Giuseppe Ferraro allo studio delle tradizioni popolari italiane è stato fondamentale, grazie alla sua instancabile opera di raccolta e analisi di materiali provenienti da diverse regioni della penisola, in particolare dal Monferrato, dalla Sardegna e dall’Emilia-Romagna. La sua figura rappresenta un importante punto di riferimento per la filologia e il folklore italiano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Giuseppe Ferraro, il filologo che riscoprì Sante Lancerio
Se oggi possiamo leggere e apprezzare l’opera di Sante Lancerio “Della natura de’ vini et de viaggi di Paolo III”, lo dobbiamo all’instancabile lavoro di questo professore di storia e geografia dell’Ottocento. La sua profonda passione per la ricerca storica e la cultura popolare lo fece si imbattere nel manoscritto di Lancerio, conservato presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara.
Intuendo immediatamente il valore di quel testo cinquecentesco, Ferraro si dedicò con scrupolo e dedizione alla sua trascrizione e al suo studio. Il risultato di questo certosino lavoro filologico fu la prima edizione a stampa dell’opera di Lancerio, pubblicata nel 1876 con il titolo “I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo bottigliere Sante Lancerio”.

Nell’introduzione al volume, Ferraro non nasconde il suo entusiasmo per la scoperta: “Questo Sante Lancerio fu dunque un assaggiatore di vini, un buongustaio del secolo XVI. Egli ci conduce per tutta Italia in cerca di buoni vini”. E ancora: “Io credo non inutile pubblicarlo perché così avremo una statistica enologica del secolo XVI, e notizie di alcuni vini sconosciuti affatto, o mal noti”.
Parole che dimostrano come Ferraro avesse colto appieno l’importanza storica e documentaria del trattato di Lancerio, non solo come testimonianza della cultura enologica del Rinascimento, ma anche come spunto per riflessioni di carattere socio-economico.
Grazie all’operazione “archeologica” compiuta da Ferraro, il testo di Lancerio uscì dall’oblio in cui era caduto per secoli, diventando oggetto di studio e di curiosità da parte di un pubblico sempre più vasto. Senza l’intuizione e la passione di questo professore-filologo, probabilmente non avremmo mai potuto assaporare le gustose pagine del bottigliere di Paolo III.
Ecco perché, accanto al nome di Sante Lancerio, è giusto ricordare anche quello di Giuseppe Ferraro: l’archeologo del vino che, con la sua opera di scavo tra i manoscritti polverosi di una biblioteca, ci ha restituito un piccolo, prezioso gioiello della nostra cultura enogastronomica.
SULLE ORME DEL PAPA: UN VIAGGIO ENO-TURISTICO NELL’ITALIA DEL RINASCIMENTO
L’opera del XVI secolo “I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo cantiniere Sante Lancerio” rappresenta un affascinante diario di viaggio che può essere considerato un’eccezionale guida eno-turistica attraverso l’Italia rinascimentale. Il libro non solo offre uno spaccato della cultura enologica dell’epoca, ma traccia anche un itinerario dettagliato che i moderni appassionati di vino e viaggi possono seguire per esplorare il ricco patrimonio viticolo italiano.
Il viaggio di Papa Paolo III e Sante Lancerio si snoda attraverso diverse regioni italiane, partendo da Roma e attraversando il Lazio, la Toscana, l’Emilia-Romagna, la Liguria e il Piemonte fino a raggiungere Nizza, per poi tornare a Roma passando per l’Umbria e le Marche. Lungo il percorso, il Papa e il suo cantiniere assaggiano e valutano i vini locali, fornendo preziose informazioni sulle caratteristiche e la qualità dei vini prodotti in ciascuna area.
Seguendo le tappe del viaggio descritte nel libro, i moderni enoturisti possono creare un itinerario personalizzato che combini visite a città storiche, borghi pittoreschi e rinomate regioni vinicole. Partendo da Roma, si può esplorare il Lazio, con tappe a Formello, Ronciglione e Viterbo, dove si possono assaggiare i vini locali e apprezzare le bellezze paesaggistiche e artistiche della regione.
Proseguendo verso la Toscana, si incontrano luoghi incantevoli come Montefiascone, Montepulciano e l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, dove si possono degustare alcuni dei vini più prestigiosi d’Italia, come il Vino Nobile di Montepulciano e il Chianti Classico. La Toscana offre anche numerose opportunità per visitare cantine storiche e moderne, immergersi nella cultura enogastronomica locale e ammirare i suggestivi paesaggi collinari.
Il viaggio continua attraverso l’Emilia-Romagna e la Liguria, con tappe a Parma, Piacenza e Savona, dove si possono scoprire i vini locali e le specialità gastronomiche di queste regioni. In Piemonte, si visitano città come Alessandria, Acqui Terme e Alba, cuore delle Langhe e patria di alcuni dei vini più rinomati d’Italia, come il Barolo e il Barbaresco.

Dopo aver raggiunto Nizza, il viaggio di ritorno verso Roma porta a esplorare le Marche e l’Umbria, con tappe a Jesi, Matelica, Camerino e Perugia. In queste regioni si possono assaggiare vini di grande carattere e complessità, come il Verdicchio dei Castelli di Jesi e il Sagrantino di Montefalco, e visitare borghi medievali e città d’arte ricche di storia e cultura.
Lungo tutto il percorso, i viaggiatori possono immergersi nella storia e nell’evoluzione dell’enologia italiana, visitando cantine antiche e moderne, partecipando a degustazioni e interagendo con i produttori locali per apprezzare appieno l’eredità duratura del vino italiano.
In conclusione, “I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo cantiniere Sante Lancerio” rappresenta un’opportunità unica per gli amanti del vino e dei viaggi di intraprendere un affascinante viaggio attraverso l’Italia rinascimentale, seguendo le orme di un Papa e del suo cantiniere. Questo itinerario, che copre oltre 1.500 km tra andata e ritorno, permette di scoprire la bellezza e la complessità dei vini italiani, esplorando al contempo il ricco patrimonio storico, artistico e culturale del paese. Un’esperienza indimenticabile che unisce enologia, storia e cultura in un unico, straordinario viaggio.
Il viaggio potrebbe iniziare lo stesso giorno di quello del Papa, ovvero il 23 Marzo e sostare ogni due o più tappe proprio come la corte papale:
Un Viaggio da Roma a Nizza: Sulle Orme del Papa
- Da Roma a Formello (30 km — 23 marzo)
Cosa vedere: Sito archeologico etrusco a Formello.
Vino da assaggiare: Frascati Superiore DOCG — un vino bianco fresco della campagna romana. - Da Formello a Ronciglione (38 km)
Cosa vedere: Lago di Vico, un lago di cratere vulcanico.
Vino da assaggiare: Est! Est!! Est!!! di Montefiascone — un famoso vino bianco locale. - Da Ronciglione a Viterbo (22 km)
Cosa vedere: Palazzo dei Papi, una storica residenza dei papi.
Vino da assaggiare: Aleatico di Gradoli DOC, un vino rosso dolce da dessert. - Da Viterbo a Montefiascone (18 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Montefiascone.
Vino da assaggiare: Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. - Da Montefiascone a Bolsena (14,5 km)
Cosa vedere: Basilica di Santa Cristina e il Lago di Bolsena.
Vino da assaggiare: Orvieto Classico DOC, un vino bianco fresco di Orvieto. - Da Bolsena a San Lorenzo alle Grotte (8 km)
Cosa vedere: San Lorenzo alle Grotte, un piccolo e pittoresco villaggio.
Vino da assaggiare: Vernaccia di San Gimignano DOCG — un rinomato vino bianco. - Da San Lorenzo alle Grotte ad Acquapendente (11 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Acquapendente.
Vino da assaggiare: Ciliegiolo di Narni, un vino rosso noto per le sue note di ciliegia. - Da Acquapendente a Radicofani (28,5 km)
Cosa vedere: Fortezza di Radicofani, che domina la Val d’Orcia.
Vino da assaggiare: Rosso di Montalcino DOC — un vino rosso prodotto da uve Sangiovese. - Da Radicofani a Montepulciano (34 km)
Cosa vedere: Piazza Grande e Palazzo Comunale a Montepulciano.
Vino da assaggiare: Vino Nobile di Montepulciano DOCG, un prestigioso vino rosso toscano. - Da Montepulciano all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, Asciano (47 km)
Cosa vedere: Abbazia di Monte Oliveto Maggiore con i suoi affreschi di Signorelli.
Vino da assaggiare: Chianti Colli Senesi DOCG. - Dall’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore a Rapolano Terme (47 km)
Cosa vedere: Le terme di Rapolano.
Vino da assaggiare: Vin Santo del Chianti DOC. - Da Rapolano Terme a Castelnuovo Berardenga (13 km)
Cosa vedere: Villa Chigi Saracini, una bellissima villa del XIX secolo con parco.
Vino da assaggiare: Rosato Toscana IGT. - Da Castelnuovo Berardenga alla Certosa di Pontignano (19 km)
Cosa vedere: Certosa di Pontignano, un magnifico monastero rinascimentale.
Vino da assaggiare: Chianti Classico DOCG. - Dalla Certosa di Pontignano a Poggibonsi (30 km)
Cosa vedere: Fortezza Medicea a Poggibonsi.
Vino da assaggiare: Vernaccia di San Gimignano DOCG. - Da Poggibonsi al Castello di Oliveto (32 km)
Cosa vedere: Castello di Oliveto: un magnifico castello del XV secolo vicino a Certaldo.
Vino da assaggiare: Paolo III IGT Toscana Castello di Oliveto. - Dal Castello di Oliveto a Fucecchio (22 km)
Cosa vedere: Collegiata di San Giovanni Battista a Fucecchio.
Vino da assaggiare: Il Vecchio Rosso di Toscana IGT Dalle Nostre Mani. - Da Fucecchio a Porcari (23 km)
Cosa vedere: Via Francigena, antica strada di pellegrinaggio.
Vino da assaggiare: Colline Lucchesi DOC, un vino bianco o rosso locale. - Da Porcari a Villa Buonvisi (7 km)
Cosa vedere: Villa Buonvisi, una residenza storica.
Vino da assaggiare: Montecarlo Rosso Riserva DOC 2020 Fattoria del Teso. - Da Villa Buonvisi a Lucca (7 km)
Cosa vedere: Mura della città di Lucca.
Vino da assaggiare: Montecarlo DOC — un vino bianco locale. - Da Lucca a Massarosa (18 km)
Cosa vedere: Lago di Massaciuccoli.
Vino da assaggiare: Vermentino dei Colli di Luni DOC — un vino bianco aromatico e fresco. - Da Massarosa a Pietrasanta (15 km)
Cosa vedere: Piazza Duomo, Duomo di San Martino e Museo dei Bozzetti a Pietrasanta.
Vino da assaggiare: Candia dei Colli Apuani DOC. - Da Pietrasanta a Massa (12 km)
Cosa vedere: Piazza Aranci e Castello Malaspina a Massa.
Vino da assaggiare: Vermentino Toscano IGT. - Da Massa a Sarzana (19 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Sarzana, Fortezza di Sarzanello.
Vino da assaggiare: Colli di Luni Vermentino DOC. - Da Sarzana ad Aulla (20 km)
Cosa vedere: Fortezza della Brunella ad Aulla.
Vino da assaggiare: Colli di Luni Rosso DOC. - Da Aulla a Pontremoli (22 km)
Cosa vedere: Castello del Piagnaro, Cattedrale di Santa Maria Assunta, Ponte della Cresa a Pontremoli.
Vino da assaggiare: Gutturnio DOC. - Da Pontremoli a Montelungo (12,5 km)
Cosa vedere: Montelungo, un tranquillo villaggio.
Vino da assaggiare: Colli di Parma DOC. - Da Montelungo al Castello di Lerici (56 km)
Cosa vedere: Castello di Lerici, una fortezza medievale.
Vino da assaggiare: Colli di Luni Vermentino DOC. - Dal Castello di Lerici a Terenzuola (15 km)
Cosa vedere: Terenzuola, vigneti della Lunigiana.
Vino da assaggiare: Vermentino Nero IGT. - Da Terenzuola a Fornovo di Taro (95 km)
Cosa vedere: Pieve di Santa Maria Assunta, Parco Fluviale del Taro a Fornovo di Taro.
Vino da assaggiare: Malvasia dei Colli di Parma DOC. - Da Fornovo di Taro a Parma (24 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Parma, Teatro Regio, celebre teatro d’opera di Parma.
Vino da assaggiare: Lambrusco di Parma DOC. - Da Parma a Borgo San Donnino-Fidenza (24 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Fidenza (Duomo di San Donnino).
Vino da assaggiare: Lambrusco di Parma IGT. - Da Borgo San Donnino a Fiorenzuola d’Arda (16 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Fiorenzuola.
Vino da assaggiare: Gutturnio DOC — un vino rosso corposo delle colline di Piacenza. - Da Fiorenzuola d’Arda a Piacenza (24 km)
Cosa vedere: Piazza Cavalli, Palazzo Gotico e Duomo di Piacenza.
Vino da assaggiare: Ortrugo DOC. - Da Piacenza a Castel San Giovanni (21 km)
Cosa vedere: Chiesa di San Giovanni Battista, Parco Regionale della Valtidone a Castel San Giovanni.
Vino da assaggiare: Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC — un vino rosso frizzante. - Da Castel San Giovanni a Stradella (11 km)
Cosa vedere: Museo della Fisarmonica di Stradella, Castello di Stradella, colline dell’Oltrepò Pavese.
Vino da assaggiare: Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese DOC. - Da Stradella a Voghera (28 km)
Cosa vedere: Cattedrale di San Lorenzo e Castello Visconteo a Voghera.
Vino da assaggiare: Barbera del Monferrato DOC. - Da Voghera a Tortona (17 km)
Cosa vedere: Duomo di Tortona, Santuario della Madonna della Guardia, Museo Archeologico di Tortona.
Vino da assaggiare: Timorasso DOC. - Da Tortona ad Alessandria (21 km)
Cosa vedere: Cittadella di Alessandria.
Vino da assaggiare: Barbera del Monferrato DOC — un vino rosso robusto. - Da Alessandria a Cassine (20 km)
Cosa vedere: Chiesa di San Francesco, Palazzo Zoppi e Torre di Sant’Antonio a Cassine.
Vino da assaggiare: Barbera d’Asti DOCG. - Da Cassine ad Acqui Terme (14 km)
Cosa vedere: Le Terme di Acqui Terme.
Vino da assaggiare: Brachetto d’Acqui DOCG. - Da Acqui Terme a Spigno Monferrato (24 km)
Cosa vedere: Chiesa di San Bartolomeo, Valle Erro e i sentieri lungo il fiume Erro a Spigno Monferrato.
Vino da assaggiare: Dolcetto d’Acqui DOC — un vino rosso del Piemonte. - Da Spigno Monferrato a Cairo Montenotte (23 km)
Cosa vedere: Castello di Cairo e il Geoparco del Beigua, sito UNESCO.
Vino da assaggiare: Dolcetto di Ovada DOC. - Da Cairo Montenotte a Savona (26 km)
Cosa vedere: Cattedrale di Nostra Signora Assunta, Cappella Sistina di Savona e Torre Leon Pancaldo.
Vino da assaggiare: Pigato Riviera Ligure di Ponente DOC. - Da Savona a Monaco (133 km)
Cosa vedere: Palazzo del Principe di Monaco, Monaco-Ville, Cattedrale di Monaco, Casinò di Monte Carlo, Jardin Exotique e Museo Oceanografico.
Vino da assaggiare: Rossese di Dolceacqua DOC. - Da Monaco a Nizza (20 km)
Cosa vedere: Promenade des Anglais, Vieux Nice (Città Vecchia), Place Masséna e Museo Matisse a Nizza.
Vino da assaggiare: Bellet Blanc AOC.
Il totale dei chilometri percorsi è di 828,5 km

Un viaggio da Ferrara a Roma, il ritorno del Papa a Roma
- Da Ferrara a Bologna (48 km)
Cosa vedere: Ferrara, Castello Estense, Ghetto Ebraico, Cattedrale di Ferrara. Bologna, Piazza Maggiore, Basilica di San Petronio, Le Due Torri.
Vino da assaggiare: Pignoletto DOC - Da Bologna a Castel San Pietro (28 km)
Cosa vedere: Castel San Pietro Terme, Porta Romana, Terme di Castel San Pietro.
Vino da assaggiare: Albana di Romagna DOCG - Da Castel San Pietro a Imola (12 km)
Cosa vedere: Imola, Rocca Sforzesca, Autodromo Enzo e Dino Ferrari, Duomo di San Cassiano, Palazzo Tozzoni.
Vino da assaggiare: Sangiovese di Romagna DOC - Da Imola a Faenza (14 km)
Cosa vedere: Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, Piazza del Popolo, Duomo di Faenza.
Vino da assaggiare: Trebbiano di Romagna DOC - Da Faenza a Ravenna (40 km)
Cosa vedere: Ravenna, siti patrimonio UNESCO.
Vino da assaggiare: Cagnina di Romagna DOC - Da Ravenna a Cervia (25 km)
Cosa vedere: Cervia, Saline di Cervia, Museo del Sale, Centro Storico di Cervia.
Vino da assaggiare: Albana di Romagna Passito DOCG - Da Cervia a Forlì (28 km)
Cosa vedere: Forlì, Piazza Aurelio Saffi, Abbazia di San Mercuriale, Museo San Domenico, Rocca di Ravaldino.
Vino da assaggiare: Sangiovese di Romagna Superiore DOC - Da Forlì a Forlimpopoli (9 km)
Cosa vedere: Forlimpopoli, Casa Artusi, Rocca Albornoziana.
Vino da assaggiare: Pagadebit di Romagna DOC - Da Forlimpopoli a Cesena (12 km)
Cosa vedere: Cesena, Biblioteca Malatestiana, patrimonio UNESCO e prima biblioteca pubblica in Europa, Piazza del Popolo, Rocca Malatestiana, Duomo di Cesena.
Vino da assaggiare: Centesimino IGT - Da Cesena a Santarcangelo (21 km)
Cosa vedere: Santarcangelo di Romagna, Fortezza di Santarcangelo, Grotte Tufacee, Piazza Ganganelli, Museo del Bottone.
Vino da assaggiare: Sangiovese di Romagna Riserva DOC - Da Santarcangelo a Rimini (11 km)
Cosa vedere: Rimini, Arco di Augusto, Ponte di Tiberio, Piazza Cavour, Tempio Malatestiano, Spiaggia di Rimini.
Vino da assaggiare: Rebola DOC - Da Rimini a Gradara (28 km)
Cosa vedere: Gradara, Castello di Gradara.
Vino da assaggiare: Colli Pesaresi Sangiovese DOC - Da Gradara a Pesaro (14 km)
Cosa vedere: Pesaro, Piazza del Popolo, Palazzo Ducale, Casa di Gioachino Rossini, Spiaggia di Pesaro, Rocca Costanza, Museo Civico di Pesaro.
Vino da assaggiare: Bianchello del Metauro DOC - Da Pesaro a Fano (12 km)
Cosa vedere: Fano, Arco di Augusto, Rocca Malatestiana, Museo Archeologico, Piazza XX Settembre, Fontana della Fortuna.
Vino da assaggiare: Terreni di San Severino DOC Moro - Da Fano a Senigallia (22 km)
Cosa vedere: Senigallia, Rotonda a Mare, Spiaggia di Velluto, Piazza del Duca, Rocca Roveresca, Foro Annonario.
Vino da assaggiare: Lacrima di Morro d’Alba DOC - Da Senigallia a Montemarciano (13 km)
Cosa vedere: Montemarciano, Chiesa di San Pietro Apostolo, Villa Montedomini.
Vino da assaggiare: Conero DOCG - Da Montemarciano a Jesi (18 km)
Cosa vedere: Jesi, Palazzo della Signoria, Piazza Federico II, Mura di Jesi, Pinacoteca Civica.
Vino da assaggiare: Verdicchio dei Castelli di Jesi DOCG - Da Jesi a Matelica (48 km)
Cosa vedere: Matelica, Piazza Enrico Mattei, Palazzo Pretorio e Torre Civica, Museo Piersanti.
Vino da assaggiare: Verdicchio di Matelica DOCG - Da Matelica a Camerino (17 km)
Cosa vedere: Camerino, Palazzo Ducale, Rocca dei Borgia, Piazza Cavour, Cattedrale di Camerino.
Vino da assaggiare: Vernaccia di Serrapetrona DOCG - Da Camerino a Perugia (77 km)
Cosa vedere: Perugia, Piazza IV Novembre, Palazzo dei Priori, Galleria Nazionale dell’Umbria, Corso Vannucci, Pozzo Etrusco, Rocca Paolina, Cattedrale di Perugia, Arco Etrusco.
Vino da assaggiare: Sagrantino di Montefalco DOCG - Da Perugia a Santa Maria degli Angeli (18 km)
Cosa vedere: Santa Maria degli Angeli, Basilica di Santa Maria degli Angeli, Porziuncola, Sentiero Francescano.
Vino da assaggiare: Torgiano Rosso Riserva DOCG - Da Santa Maria degli Angeli a Spello (14 km)
Cosa vedere: Spello, Chiesa di Santa Maria Maggiore, Cappella Baglioni, Porta Venere, Torre dei Cappuccini, Infiorate per il Corpus Domini (nono domenica dopo Pasqua).
Vino da assaggiare: Grechetto di Umbria IGT - Da Spello a Foligno (7 km)
Cosa vedere: Foligno, Piazza della Repubblica, Cattedrale di San Feliciano, Palazzo Trinci, Piazza Garibaldi.
Vino da assaggiare: Sagrantino di Montefalco DOCG - Da Foligno a Spoleto (30 km)
Cosa vedere: Spoleto, Rocca Albornoziana, Duomo di Spoleto, Piazza del Duomo, Ponte delle Torri, Teatro Romano, Festival dei Due Mondi.
Vino da assaggiare: Trebbiano Spoletino DOC - Da Spoleto a Terni (30 km)
Cosa vedere: Terni, Basilica di San Valentino, Cascata delle Marmore, Anfiteatro Romano, Palazzo Spada, Lancia di Luce.
Vino da assaggiare: Ciliegiolo di Narni IGT - Da Terni a Otricoli (28 km)
Cosa vedere: Otricoli, Parco Archeologico di Ocriculum, Collegiata di Santa Maria Assunta.
Vino da assaggiare: Orvieto Classico DOC - Da Otricoli a Borghetto (16 km)
Cosa vedere: Borghetto, Riserva Naturale Tevere-Farfa.
Vino da assaggiare: Est! Est!! Est!!! di Montefiascone DOC - Da Borghetto a Civita Castellana (8 km)
Cosa vedere: Civita Castellana, Forte Sangallo, Cattedrale di Santa Maria Maggiore.
Vino da assaggiare: Cesanese del Piglio DOCG - Da Civita Castellana a Roma (54 km)
Cosa vedere: Roma, Basilica di San Pietro, Vaticano, Musei Vaticani e Cappella Sistina, Palazzo Farnese.
Vino da assaggiare: Frascati Superiore DOCG
Il totale dei chilometri percorsi è di 718 km
IL GIUDIZIO DEL VINO NEL RINASCIMENTO: SANTE LANCERIO E ANDREA BACCI A CONFRONTO
Fra le note al testo del Lancerio troverete un continuo confronto con l’opera di Andrea Bacci. Ecco spiegate le motivazioni di questa scelta.
Nel panorama enologico del XVI secolo, due figure si distinguono per il loro contributo alla valutazione e descrizione dei vini: Sante Lancerio, bottigliere pontificio, e Andrea Bacci, medico e naturalista. Sebbene entrambi abbiano dedicato parte delle loro opere all’analisi delle caratteristiche dei vini, il loro approccio e i criteri di giudizio presentano interessanti differenze.
Dall’analisi dell’opera di Sante Lancerio emerge chiaramente il suo approccio nel giudicare e descrivere i vini. Il bottigliere di papa Paolo III Farnese utilizza un linguaggio semplice, diretto e sincero, che per certi aspetti anticipa, come già detto, quello dei moderni sommelier. Lancerio si concentra sulle caratteristiche organolettiche dei vini, descrivendone con dovizia di particolari l’aspetto, il colore, il profumo e il sapore. Usa termini familiari anche agli esperti di oggi, come “dolce”, “amabile”, “lapposo”, “cotognino” per indicare il sapore o il retrogusto, oppure “bianco”, “dorato”, “rosso”, “rubino” per descrivere il colore e l’aspetto esteriore.
Nel valutare i vini, Lancerio tiene conto anche del contesto in cui vengono consumati, consigliando abbinamenti con il cibo e momenti della giornata o stagioni più adatti. Esprime giudizi netti, sia positivi che negativi, senza remore. Non esita a bocciare vini che ritiene scadenti, come quelli francesi o spagnoli, mentre esalta le qualità dei migliori fermentati italiani. Dedica ampio spazio ai vini meridionali, che rappresentano quasi la metà dei 55 vini totali descritti.
Il bottigliere pontificio riserva elogi particolari ad alcuni vini, come il Moscatello di Taggia, il Trebbiano toscano, il Greco di San Gimignano, il Montepulciano. Ma è il vino laziale di Monterano a rappresentare per lui il non plus ultra, tanto da affermare che “non habbi pari bevanda in tutta Italia”. In questo caso, Lancerio dà il meglio di sé nella descrizione, con un linguaggio ricco, evocativo, quasi poetico, che esalta le qualità visive, olfattive e gustative del vino, anticipando lo stile dei migliori sommelier odierni.
Infine, Lancerio non manca di riportare il parere di papa Paolo III sui vini degustati, quasi a conferire maggiore autorevolezza al proprio giudizio. Nel complesso, il suo approccio risulta quello di un vero esperto, capace di valutare i vini in modo rigoroso ma appassionato, attento agli aspetti tecnici ma anche a quelli edonistici e conviviali. Un approccio pionieristico per l’epoca, che fa di Sante Lancerio una figura di primissimo piano nella storia dell’enologia e della degustazione.
Andrea Bacci, invece, nel suo trattato “De naturali vinorum historia”, adotta un approccio più scientifico e medico nella valutazione dei vini. Egli si concentra maggiormente sulle proprietà terapeutiche e salutistiche delle diverse tipologie di vino, analizzandone gli effetti sul corpo umano. Bacci classifica i vini in base alla loro natura (calda o fredda, secca o umida) e alle loro qualità (dolce, amaro, acido, astringente), e ne consiglia l’uso in base alle condizioni di salute dell’individuo.
Secondo Bacci, un buon vino deve essere innanzitutto salubre, ovvero non contenere sostanze nocive o causare effetti collaterali. Egli apprezza i vini che stimolano l’appetito, favoriscono la digestione e confortano lo spirito, mentre mette in guardia contro l’abuso di vini troppo forti o speziati, che possono provocare danni alla salute. Bacci considera anche l’età e la provenienza dei vini come fattori importanti nella valutazione della loro qualità, privilegiando i vini maturi e ben conservati rispetto a quelli giovani e instabili.
Nonostante le differenze di approccio, sia Lancerio che Bacci condividono l’idea che il giudizio del vino debba basarsi su criteri oggettivi e razionali. Entrambi gli autori cercano di definire le caratteristiche ideali di un buon vino, fornendo indicazioni precise su come valutarne la qualità. Tuttavia, mentre Lancerio si affida principalmente al proprio gusto e all’esperienza sensoriale, Bacci cerca di ancorare il giudizio del vino a principi medici e scientifici.

In conclusione, Sante Lancerio e Andrea Bacci rappresentano due diverse prospettive nella valutazione dei vini nel XVI secolo. Lancerio incarna l’approccio del degustatore esperto, attento alle sfumature organolettiche e al piacere del bere, mentre Bacci rappresenta il punto di vista del medico, interessato principalmente agli effetti del vino sulla salute. Entrambi gli autori, tuttavia, hanno contribuito a gettare le basi per una valutazione più sistematica e consapevole dei vini, anticipando alcuni criteri che saranno poi sviluppati dall’enologia moderna.
