“Il Cuoco Maceratese” di Antonio Nebbia.
Un Viaggio nelle Tradizioni della Cucina Marchigiana
Natali del Nebbia
Antonio Nebbia è una figura eminente nella storia della cucina italiana. La sua carriera inizia giovanissimo, lavorando come cuoco per nobili famiglie nelle Marche, dove affina le sue competenze. La sua opera , “Il Cuoco Maceratese”, pubblicata per la prima volta nel 1779, è un capolavoro culinario che ebbe un successo straordinario.

Il luogo di nascita è ancora incerto. Sono state condotte recenti ricerche nel territorio interno del maceratese e di Visso, dove il cognome Nebbia è ancora presente, senza risultato. Inconcludenti anche le indagini condotte sui registri della chiesa di San Giorgio a Macerata dove il Nebbia volle essere sepolto.
Ricerche condotte da Ugo Bellesi, giornalista e delegato dell’Accademia della Cucina italiana e Angiola Maria Napolioni, Responsabile della Biblioteca Statale di Macerata.
Sinora si è ritenuto che il Nebbia fin da giovane abbia lavorato come cuoco presso molte famiglie nobiliari locali, acquisendo esperienza nella cucina tradizionale marchigiana. Nuove ricerche testimoniano la presenza di Antonio Nebbia a Recanati al servizio di una famiglia nobile della città.
Un esemplare della quinta edizione de “Il Cuoco Maceratese” conservato nella biblioteca comunale di Massa Lombarda, rintracciato dal ricercatore e bibliofilo Luciano Scafà, contiene una nota scritta a mano che recita: “Il Nebbia prestò servizio come cuoco presso i Presottini a Recanati, luogo di nascita di Giuseppa, figlia del capitano Antonio Presottini e della contessa Alessandra Stelluti di Ancona, nata il 14 novembre 1813. Giuseppa in seguito sposò il dottor Carlo Venturini di Massa Lombarda, medico di Recanati”. Secondo Bellesi, ciò dimostra che Nebbia lavorò per alcuni anni a Recanati, servendo nelle case nobiliari e rendendo le sue ricette apprezzate nelle tavole aristocratiche.
Il Cuoco Maceratese
Nel 1779 pubblica il suo primo libro di ricette, dal titolo “Il Cuoco Maceratese”. Il volume si ispira alla Grande Cuisine francese che in quel periodo stava influenzando la cucina europea grazie alla rivoluzione illuminista. Per la prima volta, Nebbia sviluppa una gastronomia per le nuove classi sociali emergenti e fissa le regole moderne dell’alimentazione.
Il libro ottiene un grande successo di pubblico e continua ad essere ristampato per oltre un secolo, fino all’avvento del celebre ricettario “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi pubblicato nel 1891.
“Il Cuoco Maceratese” è un vero e proprio manuale di cucina con ben 572 ricette che intende insegnare la preparazione di ogni tipo di pietanza, sia di carne che di pesce ed anche se ha la sua importanza sia di grasso che di magro. Nebbia dimostra grande professionalità ed esperienza dietro ogni ricetta, utilizzando con sapienza gli ingredienti disponibili. Il volume testimonia l’abilità e l’ingegno dei cuochi marchigiani dell’epoca.

Antonio Latini e Antonio Nebbia: Due Giganti Marchigiani della Cucina Italiana
L’Italia, patria della cucina, ha offerto al mondo molti tesori gastronomici che sono divenuti simboli di raffinatezza, gusto e tradizione. Ma dietro ogni piatto, c’è una storia e dietro molte di queste storie, troviamo il nome di due cuochi illustri: Antonio Latini e Antonio Nebbia.
Antonio Latini: Nato nel XVII secolo, Latini è spesso considerato come il padre della cucina napoletana moderna. Di origini marchigiane fu al servizio di diversi nobili spagnoli e italiani, la sua esperienza culinaria è culminata nella pubblicazione del suo capolavoro, “Lo Scalco alla Moderna” (1692). Quest’opera, divisa in due volumi, rappresenta uno dei primi esempi di libri di cucina in Italia. La sua importanza risiede non solo nelle ricette stesse, ma anche nell’introduzione di tecniche di conservazione, come quella per la preparazione delle marmellate.
Antonio Nebbia: Un secolo dopo, a Macerata, nella regione Marche, Antonio Nebbia presenta “Il Cuoco Maceratese” (1779). Questo testo può essere considerato come una sorta di continuazione delle opere di Latini, ma con un’attenzione particolare alla cucina marchigiana. Mentre Latini aveva dato un’importanza predominante alle preparazioni elaborate per la nobiltà, Nebbia offre uno sguardo sulla cucina popolare, più accessibile ma non meno raffinata.

Sebbene separati da un secolo di distanza, esistono diversi collegamenti tra questi due cuochi:
Innovazione e Tradizione: Entrambi hanno rivoluzionato la cucina italiana, introducendo tecniche, ingredienti e preparazioni nuove, ma sempre ancorate alla tradizione.
La Scrittura come Testimonianza: I loro libri non erano solo insiemi di ricette. Erano documenti che mostravano l’evoluzione della cucina italiana, testimoniando i cambiamenti sociali, culturali ed economici dell’Italia dell’epoca.
L’Influenza sulla Cucina Moderna: Anche se molti degli ingredienti e delle tecniche descritte possono sembrare antiquate, molti chef contemporanei si rifanno ai principi basilari presentati da Latini e Nebbia. La loro enfasi sulla stagionalità, sulla qualità degli ingredienti e sulla passione per la cucina continua a risuonare anche oggi.
Mentre l’Italia ha avuto molti grandi cuochi e scrittori culinari nel corso dei secoli, Antonio Latini e Antonio Nebbia occupano un posto speciale. Hanno creato delle fondamenta solide su cui la cucina italiana si è sviluppata, e il loro retaggio continua a influenzare la gastronomia non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
I Vincisgrassi
I Vincisgrassi sono considerati un tipico primo piatto della tradizione culinaria marchigiana, originari delle province di Macerata e Ancona. Si tratta di una lasagna a strati composta da sfoglie di pasta all’uovo, alternate a un ragù bianco e besciamella. Le origini di questa specialità risalgono al XVIII secolo, e la prima codificazione della ricetta è attribuita proprio ad Antonio Nebbia, che nel 1779 pubblicò il libro “Il Cuoco Maceratese”.
Tuttavia, recenti scoperte hanno rivelato che i Vincisgrassi, sebbene considerati un piatto marchigiano, potrebbero avere origini umbre, da un manoscritto del 1760 scoperto ad Assisi, intitolato “Ricette d’ova”. In una di queste ricette si menziona una salsa alla “Princisglasses”, ovvero alla moda del principe di Galles, una variante che Nebbia avrebbe adottato nel suo libro, semplificando il nome in “Princisgras” e storpiato ancora nel dialetto marchigiano in “Vincisgrassi”.

Dalla narrazione corrente spariscono la figura del generale austriaco Alfred Candidus Ferdinand Fürst zu Windisch-Grätz, (anche Windischgrätz, o Windischgraetz) che si vuole comandante della piazza di Ancona nel 1799, durante le guerre napoleoniche e i vincisgrassi denominati dalla corruzione localistica dello stesso nome Windischgraetz, che si dice grande estimatore di quel piatto preparatogli dal suo cuoco personale ma che il Nebbia aveva elaborato e codificato ben venti anni prima nel suo popolarissimo libro.
Con la definitiva demolizione di questa convinzione esce così definitivamente di scena la maternità di una ipotetica variante anconetana, finora dominante sull’origine maceratese.
I Vincisgrassi, ora preparati con sfoglie di pasta all’uovo, ragù di carne mista di maiale e vitello e besciamella, sono cotti in forno e spesso serviti con parmigiano. I Vincisgrassi hanno ottenuto il riconoscimento PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), testimoniando il loro profondo legame con il territorio marchigiano. Di questo piatto sono diffuse diverse varianti, tra le quali si distinguono i vincisgrassi alla maceratese, per i quali è stato ottenuto il marchio di Specialità tradizionale garantita (STG).
Quindi, mentre la narrazione tradizionale li collega a un generale austriaco, recenti ricerche suggeriscono che la loro origine potrebbe essere molto più complessa e collegata all’influenza culturale del Galles.

Uno sguardo più attento sull’opera
“Il Cuoco Maceratese” è un libro di cucina scritto da Antonio Nebbia, pubblicato per la prima volta nel 1779. È uno dei primi libri di cucina italiani e riflette le tradizioni culinarie della regione delle Marche, in particolare della zona di Macerata, da cui il titolo. Nel contesto storico in cui Nebbia ha scritto, l’Italia non era ancora una nazione unificata e le sue diverse regioni avevano tradizioni culinarie molto distinte. “Il Cuoco Maceratese” è un documento prezioso perché offre uno sguardo dettagliato sulla cucina marchigiana di quel periodo.
Il libro contiene ricette per una vasta gamma di piatti, dalle zuppe ai secondi, dai contorni ai dolci. Molti ingredienti utilizzati nelle ricette sono tipici della zona, e alcune preparazioni potrebbero sembrare insolite o sorprendenti per i lettori moderni. Tuttavia, è interessante notare come molte delle tecniche e degli ingredienti siano ancora rilevanti e utilizzati nella cucina italiana contemporanea.
“Il Cuoco Maceratese” è anche un esempio di come la cucina sia strettamente legata alla cultura, alla storia e alla geografia di una regione. Attraverso le sue pagine, non solo impariamo sul cibo, ma anche sulle persone, sulle loro tradizioni e sul loro modo di vivere in quel particolare periodo storico nelle Marche.
“Il Cuoco Maceratese” di Antonio Nebbia, essendo un libro di cucina del XVIII secolo, presenta una lingua e uno stile che riflettono l’italiano di quel periodo. Ecco alcune caratteristiche e particolarità che potresti trovare:
Lingua e Stile: La lingua utilizzata è un italiano antico, con una struttura frasale e un lessico che potrebbero apparire arcaici o formali al lettore moderno. Le frasi potrebbero essere più lunghe e complesse rispetto a quelle che siamo abituati a vedere nei moderni libri di cucina.
Unità di Misura: Le unità di misura utilizzate nel libro potrebbero non corrispondere esattamente a quelle in uso oggi che non sono comuni nella cucina moderna o essere descritte e quindi meno precise, usando termini come “una spolverata”, “un cazzarolo”, o “una manciata”.
Fra le unità di misura più utilizzate troviamo:
L’”Oncia”, L’oncia era un’unità di misura di peso utilizzata anche in cucina fino al XVIII-XIX secolo. Esistevano diverse tipologie di oncia, con valori non standardizzati che potevano variare a seconda delle epoche storiche e delle città italiane.
Le oncie più usate in cucina erano:
Oncia romana: equivaleva a circa 27 g
Oncia napoletana: equivaleva a circa 26 g
Oncia veneziana: equivaleva a circa 28 g
Oncia genovese: equivaleva a circa 30 g
Oncia toscana: equivaleva a circa 28 g
L’oncia veniva utilizzata per pesare gli ingredienti nella preparazione di ricette dolci e salate. Ad esempio nelle ricette antiche è possibile trovare indicazioni come “tre oncie di farina”, “un’oncia di lievito”, “cinque oncie di zucchero” e via dicendo.
La “Foglietta”, La foglietta era un’unità di misura di capacità per liquidi e cereali utilizzata in Italia tra il Medioevo e l’epoca moderna. La sua origine è incerta, ma potrebbe derivare dal latino “follicula” ossia “sacchetto”, con riferimento ai sacchetti di cuoio usati per il trasporto e la vendita di merci. Il valore della foglietta variava a seconda delle epoche storiche e delle diverse città italiane.
Ad esempio:
A Venezia la foglietta equivaleva a 0,996 litri
A Bologna valeva 0,844 litri
A Roma corrispondeva a 0,547 litri
A Napoli era pari a 0,5 litri
In Toscana la foglietta fiorentina era di 0,700 litri
La foglietta era utilizzata soprattutto per misurare e vendere vino, olio e cereali nei mercati. Essendo una unità di misura non standardizzata, portava spesso ad approssimazioni e contestazioni. Con l’introduzione del sistema metrico decimale e della grammatura, verso la fine del 1700 l’uso dell’oncia e della foglietta è stato abbandonato a favore di unità di misura universali e standardizzate.

Parole Insolite: Dato il contesto storico e regionale, ci sono molte parole che potrebbero sembrare insolite o non familiari al lettore moderno. Alcuni termini potrebbero riferirsi a ingredienti ormai obsoleti, a tecniche culinarie specifiche dell’epoca o a utensili da cucina non più in uso.
Ecco alcune parole che potresti trovare nel libro e che potrebbero sembrare insolite:
Cazzarolo/a: Il termine “cazzarolo” o “cazzarola” veniva utilizzato nella cucina italiana tra XVIII e XIX secolo per indicare una particolare pentola di terracotta o rame.
La cazzarola aveva una forma bassa e larga, con due manici laterali. Era utilizzata soprattutto per cuocere e servire in tavola. Grazie alla sua forma ampia e poco profonda, la cazzarola permetteva una cottura omogenea e poteva essere impiegata per cuocere verdure, legumi, polente e altri piatti che necessitavano di una cottura lenta e prolungata, con frequente mescolamento. Con la diffusione di pentole in metallo smaltato e l’evoluzione delle tecniche di cottura, l’uso della cazzarola è andato diminuendo. Tuttavia questo antico utensile rimane legato alla tradizione culinaria.
Colì: L’espressione “Colì” veniva utilizzata nella cucina italiana tra il XVIII e il XIX secolo come termine generico per indicare un intruglio o composto di ingredienti utilizzato per condire o mantecare le pietanze. Deriva dal termine francese “coulis” che significa appunto salsa densa o crema. I cuochi dell’epoca, ispirandosi alla cucina francese, utilizzavano questa parola francesizzata “colì” per riferirsi a salse e condimenti di consistenza molto densa creati con ingredienti tritati finemente e ridotti. Ad esempio, nelle ricette dell’epoca si possono trovare “colì di carne”, “colì di pomodoro”, “colì di fegatini” e così via. Si trattava quindi di una sorta di precursori dell’odierna salsa, preparata pestando gli ingredienti in un mortaio fino ad ottenere una purea liscia e densa. L’utilizzo del termine “colì” in cucina è andato via via scomparendo e sostituito da termini più specifici come salsa, crema, vellutata e così via. Tuttavia ritrovarlo nelle ricette dei secoli XVIII e XIX aiuta a comprendere l’evoluzione del linguaggio culinario e la nascita delle salse come le intendiamo oggi.
Stamigna: Il termine “stamigna” veniva utilizzato nella cucina italiana tra XVIII e XIX secolo per indicare una particolare tela di lana cardata molto fine. La stamigna era impiegata soprattutto come filtro per chiarificare e depurare i brodi, le gelatine e altri preparati liquidi in cucina. Grazie alla sua trama fitta, era infatti in grado di trattenere le impurità e le parti grasse in sospensione, donando trasparenza alle preparazioni. Ad esempio, dopo aver bollito carne, pesce o verdure per ottenere un brodo, questo veniva fatto colare attraverso una stamigna che intrappolava i residui solidi. Lo stesso procedimento veniva utilizzato per filtrare il latte nella preparazione di dolci e creme, al fine di ottenere una consistenza liscia e vellutata.

La stamigna era considerata insostituibile per la chiarificazione dei liquidi in cucina. Con l’avvento di materiali moderni come garze sterili, passini e colini a maglia fitta, l’uso di questo antico tessuto è andato diminuendo tra XIX e XX secolo. Tuttavia il termine “stamigna” continua ad essere presente in alcune ricette storiche.
Staccio: Lo “staccio” era uno strumento tipico delle cucine italiane tra XVIII e XIX secolo, utilizzato soprattutto per setacciare e raffinare ingredienti in polvere come farine, amidi, zuccheri e spezie. Si trattava di un recipiente di legno o metallo costituito da un fondo forato e da un coperchio. Sul fondo veniva posta una tela fitta o un setaccio metallico a maglie molto strette. Per utilizzare lo staccio, gli ingredienti in polvere venivano posti sul setaccio e con un movimento rotatorio e battente venivano fatti passare attraverso la maglia, separando così le parti fini da eventuali grumi, impurità o corpi estranei. Ad esempio lo staccio veniva impiegato per ottenere farine molto fini, fecola di patate ultra raffinata, zucchero a velo extra fine o spezie perfettamente macinate. Anche il cioccolato veniva stacciato per eliminare eventuali grumi e rendere la texture perfettamente liscia. Con la diffusione di attrezzature industriali come i setacci vibrati, l’uso domestico dello staccio è andato via via scemando. Tuttavia questo antico utensile da cucina rimane un simbolo dell’accuratezza e della dedizione alle tecniche di preparazione degli ingredienti in epoca pre-industriale.
Queste sono solo alcune delle peculiarità che potresti trovare nel libro. La lettura di “Il Cuoco Maceratese” offre un’opportunità unica di immergersi nella storia culinaria italiana e di apprezzare come le tradizioni e le tecniche si siano evolute nel tempo.