
SUPERSTIZIONI E PREGIUDIZI NELLE MARCHE DURANTE IL SEICENTO
Le Marche tra fede e superstizione: Giovanni Crocioni riscopre il catalogo delle credenze popolari marchigiane del Seicento di Padre Prospero Domenico Maroni di Cagli.
Giovanni Crocioni (Arcevia, 5 ottobre 1870 — Reggio Emilia, 22 giugno 1954) fu un eminente filologo, storico e folklorista italiano, celebre per i suoi studi sulla letteratura italiana e sulle tradizioni popolari, con una particolare attenzione alla regione delle Marche. Nato in una famiglia legata alle tradizioni del territorio, compì i suoi studi a Roma, dove si laureò in lettere nel 1894 con una tesi sul Dottrinale di Pier Iacopo Alighieri, guidato dal rinomato filologo Ernesto Monaci. Successivamente conseguì la laurea in filosofia e vinse il prestigioso premio di perfezionamento Corsi. Durante questi anni, frequentò la scuola filologica romana, un’istituzione ispirata al tardo positivismo e fondata dallo stesso Monaci, che orientò Crocioni verso la filologia romanza e lo studio dei dialetti, gettando le basi per il suo approccio metodologico innovativo.

La carriera accademica di Crocioni fu caratterizzata da un costante impegno nell’istruzione e nella promozione della cultura regionale. Insegnò italiano e storia nei licei, ottenne la libera docenza in letteratura italiana presso l’Università di Bologna e ricoprì importanti ruoli amministrativi come provveditore agli studi in varie regioni italiane, tra cui le Marche. Fu inoltre attivo nell’ambito della ricerca storica nazionale, presiedendo la Deputazione di Storia Patria per le Marche e fondando la rivista Rendiconti dell’Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti. La sua produzione intellettuale dimostra una chiara volontà di integrare la ricerca filologica con l’analisi delle tradizioni popolari, unendo cultura dotta e popolare in una sintesi unica e innovativa.
Opere di Giovanni Crocioni in ordine cronologico:
1895 — Il Dottrinale di Pier Iacopo Alighieri
1898 — Postille di G. Giusti alla Divina Commedia
1906 — Il dialetto di Arcevia
1914 — Le Regioni e la cultura nazionale
1914 — Le Marche, letteratura, arte e storia
1917 — Per la Concordia e per la resistenza
1918 — Criteri fondamentali per il rinnovamento della scuola media
1919 — Il professore di scuola media
1927 — Il poeta Adolfo de Bosis
1928 — Problemi fondamentali del folklore
1929 — Il professore di scuola media (seconda edizione)
1934–1936 — La poesia dialettale marchigiana (2 volumi)
1937 — Il Giusti folklorista
1938 — L’Alidoro o dei primordi del melodramma
1947 — Superstizioni e pregiudizi nelle Marche nel secolo XVII
1948 — Il Leopardi e le tradizioni popolari
1951 — Il Muratori e le tradizioni popolari
1952 — La gente marchigiana nelle sue tradizioni
1953 — Bibliografia delle tradizioni popolari marchigiane
1954 — Folklore e letteratura
1970 — Le tradizioni popolari nella letteratura italiana (postumo)

L’OPERA
Tra le sue opere più significative spicca Superstizioni e pregiudizi nelle Marche durante il Seicento, pubblicata nel 1947. Quest’opera rappresenta uno studio dettagliato dell’opera Decisiones Prudentiales di Prospero Domenico Maroni da Cagli, e pubblicata, dopo la sua morte, a Forlì nel 1702.
Titolo esteso nello stile dell’epoca: DECISIONES PRUDENTIALES|Casuum et Quaesitorum conscientiae|ab anno 1700. usque ad 1696. in mensalibus Congregationibus habitae,|coram|Illustrissimo, et Reverendissimo Domino Benedicto Luperto Episcopo et patritio Calliensi. Per Ad. R. P. Fr.|PROSPERUM DOMINICUM MARONUM|de Callio|Ord. Praedicator. Sac. Theolog. Magistrum, Examinato rem Synodalem, et theologum eiusdem Episcopi.|Opus perutile, et necessarium RR. Parochis, Confessariis, Sacerdotibus, et Clericis, utpote Sanctissimi Doctoris Angelici, D. Thomae Aquinatis Doctrina, et D. D. Placitis fulcitae.|Studio, et diligentia Illustrissimi, et Reverendissimi D.|D. Philippi Abbatis DE HONOPHRJIS,|Ad cuius manus praejatae Decisiones pervenerunt, in otiis Gubernii Forolivii per materias ordine alphabetico, cum Indice amplissimo locuplaetatae,|et in lucem aeditae.
Forolivii, MDCCII.
L’opera esplora diversi temi centrali della cultura popolare marchigiana del Seicento. I riti e le cerimonie legati ai momenti cruciali della vita, come nascita, matrimonio e morte, vengono descritti nei loro dettagli, evidenziando l’intreccio tra tradizioni cristiane ed elementi pagani. La medicina popolare, con le sue pratiche erboristiche e i guaritori, viene esaminata per mettere in evidenza il confine sottile tra conoscenze empiriche e pratiche magiche. L’opera approfondisce inoltre le credenze soprannaturali, soffermandosi su figure come le streghe, sul malocchio e sul ruolo attribuito al demonio nelle pratiche divinatorie, come la chiromanzia e la negromanzia.
Questa ricerca si distingue per l’attenzione ai dettagli e per la capacità di connettere documenti storici e tradizioni vive, mostrando come le superstizioni riflettano le dinamiche sociali e religiose dell’epoca. Crocioni non si limita a descrivere, ma cerca di interpretare e contestualizzare i fenomeni studiati, dimostrando come il folklore rappresenti un ponte tra passato e presente.

Nel Seicento, le Marche erano una regione in cui le credenze popolari si intrecciavano profondamente con le pratiche religiose e la vita quotidiana delle comunità rurali. L’opera di P. Prospero Domenico Maroni da Cagli, (ricordiamo pubblicata dopo la sua morte nel 1702) dopo analizzata e tradotta da Giovanni Crocioni, offre uno spaccato dettagliato delle superstizioni che permeavano questa regione, rivelando non solo le paure e le speranze delle persone, ma anche la struttura sociale e culturale del tempo.
Le superstizioni si manifestavano come una risposta collettiva a fenomeni naturali incomprensibili, a malattie e disgrazie. In un’epoca segnata da un fragile equilibrio tra natura e comunità, la mancanza di spiegazioni scientifiche conduceva molti a cercare conforto in rituali magico-religiosi. Queste pratiche si concentravano su elementi concreti come oggetti, simboli e parole sacre, utilizzati spesso per ottenere protezione o per scongiurare mali immaginari o reali.
Le campagne marchigiane, descritte nel testo, si presentano come un microcosmo caratterizzato da una forte interdipendenza tra gli abitanti, dove le superstizioni non erano soltanto una manifestazione di ignoranza, ma un linguaggio condiviso che rifletteva un senso di appartenenza e identità culturale. Tuttavia, proprio queste credenze venivano giudicate dalla Chiesa come un pericolo per la purezza della fede cristiana. Maroni sottolinea infatti l’importanza dell’intervento dei parroci per educare le masse, definite spesso come “persone idiote e rustiche”, al fine di distinguere la vera devozione dagli atti superstiziosi.
Le superstizioni riportate nell’opera spaziano da pratiche domestiche, come l’uso di erbe benedette per favorire la prosperità, a rituali più complessi come la lettura di segni nei movimenti del setaccio o l’uso di candele sacre per scongiurare tempeste. Questi esempi mostrano come le Marche del Seicento fossero un luogo di transizione culturale, in cui tradizioni arcaiche coesistevano con i tentativi della Chiesa di imporre un ordine morale e religioso più rigoroso.
Influenza culturale e religiosa
Nel Seicento, la religione cattolica rappresentava un pilastro imprescindibile della vita sociale nelle Marche, influenzando profondamente le credenze e le pratiche quotidiane delle comunità rurali. L’opera, rivela come la Chiesa cercasse di combattere le superstizioni diffondendo una rigida interpretazione della dottrina cristiana, nel tentativo di distinguere la fede autentica da quelle che venivano definite deviazioni idolatriche o diaboliche.
I parroci, figure centrali della vita comunitaria, svolgevano un ruolo cruciale nella lotta contro la superstizione. Essi erano incaricati di istruire i fedeli, spesso descritti come “persone idiote e rustiche,” utilizzando un linguaggio semplice e accessibile. Attraverso sermoni e catechesi, i sacerdoti cercavano di spiegare i pericoli associati alla superstizione, presentandola come un’offesa contro Dio e un implicito patto con il Demonio. La descrizione dettagliata delle pratiche superstiziose riportata da Maroni sottolinea il tentativo della Chiesa di classificare e condannare tali usanze, da quelle apparentemente innocue, come il legare oggetti sacri per ottenere favori, a quelle esplicitamente sacrileghe, come i riti magici e le invocazioni demoniache.
La pressione ecclesiastica per il controllo delle credenze popolari emerge chiaramente nell’opera, dove vengono citate anche indicazioni papali, come quelle contenute nella bolla di Sisto V. Questi documenti mostrano come la Chiesa non si limitasse a condannare le superstizioni, ma cercasse di fornire linee guida ai parroci su come affrontarle e prevenirle. La supervisione religiosa si spingeva fino a dettagli minuziosi, come la denuncia dell’uso improprio di oggetti benedetti — candele, palme, o reliquie — che venivano spesso trasformati in strumenti magici.
Tuttavia, questa influenza religiosa non agiva in un vuoto culturale. Le superstizioni riflettevano bisogni profondamente radicati nella società marchigiana, come la protezione dai mali naturali, il desiderio di prosperità, e la ricerca di giustizia. La tensione tra l’autorità ecclesiastica e le credenze popolari suggerisce un quadro complesso, in cui i contadini vedevano nella religione e nella magia due lati della stessa medaglia, entrambi necessari per affrontare le incertezze della vita quotidiana.
L’opera di Maroni, quindi, non è solo un’analisi critica della superstizione, ma anche una testimonianza del tentativo della Chiesa di definire la propria autorità culturale e morale in una regione che mescolava in modo unico tradizioni arcaiche e devozione cristiana.
Rituali popolari e pratiche magiche
L’opera offre una dettagliata panoramica delle pratiche magiche e dei rituali superstiziosi che permeavano la vita quotidiana nelle Marche del Seicento. Questi rituali, sebbene condannati dalla Chiesa, rappresentavano una risposta concreta ai bisogni e alle paure della popolazione, specialmente nelle comunità rurali.
Molte delle pratiche descritte nell’opera avevano un carattere utilitaristico e si collocavano al confine tra la magia e la religione. Tra i rituali più comuni, Maroni cita l’uso di erbe benedette per ottenere prosperità, la fumigazione con legno benedetto per curare il malocchio, o il ricorso a formule magiche per scoprire l’identità di un ladro. Questi atti riflettevano il bisogno di controllo su eventi incerti, come la salute, i raccolti, o le relazioni personali, in un contesto sociale in cui la scienza medica e la conoscenza meteorologica erano inesistenti o inaccessibili.
Un aspetto interessante è il ruolo degli oggetti nelle pratiche magiche. Elementi comuni come candele benedette, setacci, aghi e pani venivano investiti di un significato simbolico e sacro. Per esempio, l’uso del setaccio per identificare il colpevole di un furto o la benedizione di erbe nel giorno di San Giovanni Battista mostrano come gli oggetti quotidiani fossero trasformati in strumenti magico-religiosi. Allo stesso modo, l’uso di reliquie e sacramentali dimostra come la superstizione reinterpretasse elementi del culto cristiano, appropriandosene per scopi pratici.
Le pratiche legate alla fertilità, al matrimonio e alla famiglia rivestivano un ruolo centrale nelle superstizioni marchigiane. Maroni descrive rituali elaborati per favorire la gravidanza, come il passaggio sotto un cavallo o l’uso di acqua benedetta, e per impedire o favorire l’unione matrimoniale, come l’annodare nastri durante le cerimonie nuziali. Queste pratiche rivelano una profonda connessione tra superstizione e cicli vitali, in cui il sacro e il magico si intrecciavano per affrontare le sfide dell’esistenza.
Le festività religiose erano spesso occasioni per eseguire rituali superstiziosi. Durante la vigilia di San Giovanni, ad esempio, si accendevano falò e si compivano gesti simbolici come il saltare sopra il fuoco, un atto che, secondo la credenza popolare, garantiva protezione dai mali e rinsaldava i legami sociali. Analogamente, il giorno dell’Epifania era associato a rituali per predire il futuro, come l’osservazione del tempo atmosferico o l’uso simbolico di oggetti come pietre e grano.
Questi rituali, sebbene bollati come superstizioni dalla Chiesa, rappresentavano una forma di resilienza culturale e adattamento sociale. Essi riflettevano il tentativo delle comunità di trovare risposte concrete a problemi quotidiani attraverso un linguaggio simbolico condiviso. La condanna ecclesiastica non cancellò immediatamente queste pratiche, ma le trasformò gradualmente, integrandole o sostituendole con rituali religiosi più controllati.
Le donne come custodi delle tradizioni popolari
Le donne emergono come protagoniste principali di molte superstizioni descritte nell’opera. In qualità di madri, mogli e guaritrici, esse erano responsabili di tramandare pratiche che si credeva fossero utili per affrontare malattie, problemi familiari e difficoltà economiche. Dai rituali per favorire la fertilità al trattamento delle malattie dei bambini, le donne erano le custodi di un sapere popolare che fondeva elementi magici e religiosi. Per esempio:
– Utilizzavano erbe benedette o raccolte in giorni specifici, come nella festa di San Giovanni, per scopi protettivi o curativi.
– Realizzavano rituali per aiutare i figli malati, come farli passare sotto il corpo di un cavallo insellato per guarire.
– Svolgevano pratiche simboliche legate al matrimonio, come far sedere la sposa su un sacco di farina per portare abbondanza nella casa del marito.
Questi esempi mostrano come le donne fossero figure chiave nella gestione della vita domestica e comunitaria, non solo attraverso attività pratiche, ma anche mediante rituali che collegavano il mondo materiale a quello spirituale.
Ecco alcune delle le superstizioni più assurde praticate dalle donne marchigiane nel seicento:
Praticare rituali nudi sui tetti delle chiese per “voltare gli animi degli uomini” (n°42)
Filare, ordire, tessere e fare una “camicia alla gatta” durante il tempo di una messa per evitare condanne giudiziarie (n°49)
Usare parti di bambini morti (punta del naso, cuore, unghie) come amuleti per favorire la gravidanza (n°51)
Far sputare nella bocca di chi ha problemi orali da parte di chi “ha passato il mare” per guarire (n°102)
Gettare vasi e pignatte rotte dalla finestra all’uscita dei morti per evitare che la morte torni in casa (n°96)
Voltare sottosopra le tovaglie degli altari per vivere in armonia con i mariti (n°77)
Proibire di attingere acqua alla fontana finché un morto non esce di casa (n°120)
Rovesciare indumenti (berrette, calzette, gonnelle) per impedire i rapporti coniugali agli sposi novelli (n°39)
La comunità rurale come culla delle credenze
Le superstizioni descritte nell’opera riflettono una società rurale coesa, in cui le pratiche magiche erano un linguaggio comune che rafforzava i legami tra gli individui. I rituali comunitari, come i falò di San Giovanni o i balli funebri, sottolineano l’importanza del collettivo nella gestione delle emozioni e delle sfide della vita. Ogni superstizione non era solo un gesto personale, ma un atto condiviso che coinvolgeva parenti, vicini e membri del villaggio.
Tuttavia, questa rete sociale non era priva di tensioni. L’accusa di stregoneria o di malocchio, spesso rivolta contro le donne più marginalizzate o isolate, rifletteva come la stessa comunità potesse diventare un luogo di conflitto. Maroni, nel suo testo, condanna queste pratiche come frutto dell’ignoranza e della paura, sottolineando il bisogno di interventi educativi per sradicare credenze considerate dannose.
Ecco alcune delle superstizioni più assurde praticate nelle campagne secondo il testo:
Utilizzare un cane morto nell’acqua per far piovere (n°54)
Rifiutarsi di contare le pecore credendo che il conteggio le faccia morire (n°126)
Non dare armi alle donne perché si crede che diventino inutilizzabili (n°89)
Credere che seminare sia inutile se si incontrano persone calve (n°86)
Impiegare archibugi usati per omicidi sotto il letto degli sposi per rimuovere impedimenti matrimoniali (n°20)
Il dualismo tra fede e superstizione
Le donne incarnavano anche il dualismo tra fede cristiana e superstizione. Spesso, utilizzavano elementi sacri come candele benedette, reliquie, o formule religiose per scopi magici, sfidando implicitamente l’autorità della Chiesa. Questo comportamento mostra come la fede e la superstizione non fossero percepite come opposte dalla popolazione, ma come parte di un unico sistema di credenze. Per esempio:
– Si invocavano santi o si utilizzavano preghiere non approvate per ottenere protezione o guarigione.
– Si compivano gesti simbolici, come girare pietre sacre sugli altari, per influenzare la volontà altrui.
La Chiesa, attraverso figure come i parroci, cercava di correggere queste deviazioni, ma l’adozione di elementi cristiani nei rituali superstiziosi dimostra la capacità delle comunità rurali di adattare le pratiche religiose alle proprie necessità.
L’educazione come strumento di redenzione
Maroni sottolinea ripetutamente l’importanza dell’educazione religiosa come antidoto alla superstizione. Egli incoraggia i parroci a utilizzare esempi concreti e un linguaggio semplice per raggiungere anche i membri più umili e meno istruiti della comunità. La missione educativa non si limitava a spiegare che cosa fosse la superstizione, ma mirava a dimostrare come tali pratiche rappresentassero una violazione della legge divina e un implicito patto con il Demonio.
Un aspetto interessante del suo approccio è l’uso della logica teologica per spiegare i pericoli delle superstizioni. Ad esempio, Maroni sottolinea come ogni atto superstizioso implichi una tacita invocazione del Demonio, poiché si ricorre a mezzi non naturali per ottenere risultati straordinari, escludendo l’intervento divino. Questo tipo di ragionamento era pensato per far comprendere ai fedeli la gravità morale delle superstizioni.
La condanna e la sensibilità verso il contesto rurale
Nonostante il tono severo con cui giudica le superstizioni, Maroni dimostra una certa consapevolezza delle difficoltà e delle paure che le alimentavano. Egli riconosce che molte di queste pratiche nascevano dalla vulnerabilità delle comunità rurali, spesso esposte a malattie, carestie e fenomeni naturali imprevedibili. Tuttavia, questa comprensione non attenua la sua condanna, poiché considera tali usanze come un ostacolo alla diffusione della vera fede.
Il suo approccio è quindi duplice: da un lato, Maroni condanna senza mezzi termini le superstizioni come manifestazioni di ignoranza e inganno demoniaco; dall’altro, cerca di offrire soluzioni pratiche, affidandosi ai parroci come mediatori tra la dottrina cristiana e il popolo.
Un altro aspetto significativo è la critica di Maroni all’ambiguità di alcune pratiche religiose che potevano alimentare la superstizione. Egli denuncia l’abuso di oggetti sacri e formule liturgiche, sottolineando come queste venissero spesso reinterpretate per scopi magici. Questo dimostra come i confini tra fede e superstizione fossero labili, specialmente in un contesto rurale dove la conoscenza teologica era limitata.
Confronto tra credenze storiche e moderne
L’opera non solo documenta le superstizioni diffuse nelle Marche del Seicento, ma offre anche l’opportunità di confrontare queste credenze con le pratiche superstiziose moderne. Questo confronto rivela sia la persistenza di alcuni temi universali che l’evoluzione delle credenze in risposta ai cambiamenti culturali e scientifici.
Alcune delle credenze descritte da Maroni trovano ancora eco nella società contemporanea, sebbene in forme più attenuate o simboliche. Per esempio:
– Amuleti e oggetti protettivi: l’uso di reliquie o candele benedette per scopi magici nel Seicento ha un parallelo moderno nei portafortuna e negli oggetti che si ritiene possano allontanare la sfortuna o attirare il successo.
– Credenze sul malocchio: pratiche come la fumigazione per allontanare il malocchio o l’uso di erbe benedette trovano riscontro in rituali ancora diffusi in alcune aree rurali italiane.
– Superstizioni agricole: molte delle credenze legate al raccolto, come l’uso dei ramoscelli di oliva benedetti, e/o le croci di canna palustre nei campi, ancora visibili e documentabili nella Regione Marche, riflettono un legame profondo con la natura che, sebbene affievolito, persiste in alcune tradizioni contadine.
Questa continuità suggerisce che le superstizioni rispondono a bisogni universali, come il desiderio di protezione, il controllo sul futuro, e l’interpretazione di eventi casuali.
Nonostante la persistenza di alcuni temi, molte superstizioni hanno subito una trasformazione, adattandosi ai progressi scientifici e ai mutamenti culturali. Ad esempio:
Medicina e scienza: pratiche magiche legate alla guarigione, come l’uso di erbe raccolte in giorni specifici, sono state in gran parte sostituite da metodi scientifici, ma l’interesse per la fitoterapia e le medicine alternative ne rappresenta una sorta di eredità.
Tecnologia e nuove forme di superstizione: il progresso tecnologico ha dato origine a nuove superstizioni, come quelle legate al malfunzionamento tecnologico in giorni o ore particolari, oppure alla paura di numeri o simboli specifici in contesti moderni, la tendenza a trattare alcuni manufatti hi-tech alla stregua di reliquie medievali, attribuendo loro proprietà quasi magiche (un esempio è rappresentato dalle macchine da scrivere appartenute a personaggi celebri come la Underwood utilizzata da Ernest Hemingway).
Nuove reliquie: un caso particolarmente significativo di questa moderna “sacralizzazione” degli oggetti si è manifestato in occasione del decimo anniversario dell’11 settembre. L’acciaio recuperato dalle Torri Gemelle è stato oggetto di un programma ufficiale, lo “Steel Program del World Trade Center”, che ha distribuito i resti alle caserme dei vigili del fuoco e ai musei di tutta l’America. Questi frammenti sono stati trattati come vere e proprie reliquie sacre, accompagnati da cerimonie solenni e rituali di consegna, come testimonia Bill Baroni, vicedirettore esecutivo dell’autorità portuale, che ha definito questa distribuzione una “missione sacra”.
Un elemento interessante è il cambiamento del contesto sociale delle superstizioni. Nel Seicento, le credenze erano profondamente radicate nella comunità e servivano come mezzo per rafforzare i legami sociali. Oggi, invece, molte superstizioni sono praticate individualmente, riflettendo una società più frammentata. Tuttavia, alcune occasioni collettive, come le festività religiose, continuano a rappresentare momenti in cui emergono credenze popolari condivise, come l’accensione di candele votive o l’uso di oggetti benedetti.
Le superstizioni, sia storiche che moderne, rappresentano un patrimonio culturale che riflette le paure, le speranze e la creatività delle comunità. L’opera di Maroni, quindi, non è solo un documento di condanna, ma anche una finestra su una tradizione culturale che continua a influenzare, in modo più o meno evidente, le credenze e i comportamenti odierni.
Contributo di Giovanni Crocioni
La traduzione e l’analisi dell’opera di P. Prospero Domenico Maroni da Cagli da parte di Giovanni Crocioni rappresentano un contributo fondamentale per lo studio delle superstizioni e della cultura popolare nelle Marche del Seicento. Crocioni non si limita a tradurre il testo originale, ma lo arricchisce con commenti e riferimenti che contestualizzano il materiale, rendendolo accessibile e rilevante per i lettori della sua epoca e di valore per i moderni.
Grazie al lavoro di Crocioni, l’opera di Maroni emerge non solo come una testimonianza della lotta della Chiesa contro le superstizioni, ma oggi anche come una fonte etnografica di grande valore. Crocioni riesce a evidenziare l’importanza di questo testo per comprendere il rapporto tra fede, cultura e società nella regione marchigiana:
Documentazione storica: Crocioni offre un quadro dettagliato delle credenze e delle pratiche popolari, sottolineando la loro diffusione e il loro significato nella vita quotidiana del tempo.
Contestualizzazione: Attraverso il confronto con altre fonti e autori, come Oreste Marcoaldi o Caterina Pigorini-Beri, Crocioni dimostra come le superstizioni non fossero un fenomeno isolato, ma parte di una più ampia tradizione culturale appenninica della sua epoca.
Un ponte tra passato e presente
La traduzione di Crocioni è caratterizzata da uno stile chiaro e coinvolgente, che rende il testo accessibile anche a lettori non specialisti. La sua capacità di spiegare termini arcaici e pratiche oscure, fornendo al contempo dettagli storici e antropologici, contribuisce a rendere l’opera di Maroni un riferimento indispensabile per studiosi e appassionati di folklore.
Il lavoro di Crocioni non è solo accademico, ma ha anche un valore divulgativo. Egli riesce a mettere in relazione le credenze descritte da Maroni con le superstizioni ancora vive, nella sua epoca, nella cultura marchigiana moderna, dimostrando la continuità e l’evoluzione di queste pratiche. Questo approccio rende l’opera rilevante anche per chi è interessato alla contemporaneità, offrendo uno spunto di riflessione su come le tradizioni popolari influenzino ancora oggi il modo in cui affrontiamo l’incertezza e il mistero.
Crocioni, con il suo lavoro, contribuisce non solo a preservare il patrimonio culturale delle Marche, ma anche a stimolare un dialogo su come queste tradizioni possano essere reinterpretate e valorizzate. La sua attenzione ai dettagli e il suo rispetto per le fonti originali lo rendono una figura chiave nella riscoperta della cultura marchigiana.
