Tolentino: alla scoperta della città in un tour a piedi

Tolentino, meta del Grand Tour Ottocentesco, da riscoprire

Mariano Pallottini
32 min readAug 25, 2015

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Tolentino è una cittadina di 20.000 abitanti circa, posizionata molto favorevolmente sulle rive del fiume Chienti fra la costa e l’area montana. Accompagnandovi in una visita alla località, ripercorreremo insieme le stesse strade e le vie attraversate per secoli da cortei fastosi di personaggi illustri, papi, re e regine che, sulla via lauretana (la Regina Cristina di Svezia, Giacomo Casanova per citarne solo due), facevano sosta per visitare il Santuario di un Santo illustrissimo e miracoloso, un santo protagonista di numerose leggende: San Nicola da Tolentino. Percorreremo anche i viottoli acciottolati percorsi dai giovani rampolli delle nobili famiglie Europee in viaggio per il Grand Tour.

Ponte del Diavolo

Il tour che vi proponiamo inizia da un monumento storico di Tolentino, simbolo molto forte della città che ben si presta ad accogliere il visitatore essendo questo il compito che svolge da poco meno di 750 anni.

Stiamo parlando del Ponte di Tolentino conosciuto anche come Ponte del Diavolo.

Il ponte che permette di attraversare il fiume Chienti, un tempo maestoso ed irruento, è stato realizzato in cinque arcate sorrette da solidi piloni. La porta di accesso ad arco acuto con doppia ghiera in cotto si trova inserita in una torre difensiva squadrata, con merli guelfi.

Storia

Il ponte fu eretto nel 1268 per volere del podestà di Tolentino Leopardo da Osimo che incaricò del progetto il Mastro Bentivegna. La lapide presente sul ponte è la copia di quella antica che fu realizzata utilizzando il fondo di un sarcofago romano. Il 30 giugno 1944, durante la seconda guerra mondiale, le truppe tedesche in ritirata fecero saltare l’arcata centrale del ponte, che in seguito, venne ricostruita nella forma originaria. Nella zona sottostante del ponte è presente una minuscola oasi naturalistica.

Opere Conservate

E’ ben visibile, l’originale edicola sacra posta sul pilone centrale che contiene un affresco che ritrae la Vergine con Bambino, voluta nel 1524, per deliberazione del Comune.

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Curiosità

La denominazione di “Ponte del Diavolo” deriva da una leggenda comune a tanti ponti sparsi per l’Europa e anche nelle Marche. Il podestà di Tolentino, Leopardo da Osimo, incaricò Mastro Bentivegna (o Benevegna) di costruire il Ponte. Di fronte alle difficoltà incontrate, (il ponte veniva distrutto nottetempo dall’impetuosità del fiume Chienti) si rivolse ad una vecchia, la quale gli prestò un libro di magia nera. Il costruttore, disperato, si recò al trivio delle Fonti di San Giovanni e recitò una formula magica. Gli apparve un’ombra, che Bentivegna riconobbe subito come il demonio. Quest’ultimo chiese, quale ricompensa per l’aiuto nella costruzione del ponte, l’anima del primo che lo avesse attraversato. In preda a profondo rimorso per il patto stipulato, mastro Benevegna si rivolse a San Nicola che trovò un astuto rimedio. Il giorno dell’inaugurazione, benedetto il ponte perché non potesse essere distrutto e sprangato a dovere per evitare che qualcuno potesse attraversarlo, San Nicola si presentò con un cagnolino al guinzaglio e, tirata fuori dalla tonaca una forma di formaggio, la lanciò lungo il ponte, sciogliendo il cane che la rincorse. Il Diavolo, catturò il cane, accorgendosi troppo tardi di essere stato beffato, poiché l’animale non possedeva l’anima pattuita. Il Demonio, vistosi gabbato, andò su tutte le furie e tentò di distruggere il ponte, tramite una poderosa “cornata”, il segno della quale, sarebbe tuttora vedibile.

Chiesa di Santa Maria Nuova

Poco distante dal Ponte del Diavolo, entro le mura cittadine, edificata sopra i resti di un tempio romano, troviamo la Chiesa di Santa Maria Nuova. Nel corso dei secoli ha subito varie ristrutturazioni fino all’attuale sistemazione risalente al 1740. Fu cattedrale della Città per quasi un secolo.

Descrizione

La facciata è realizzata in laterizio e alquanto sobria, inquadrata alle estremità da due lesene e ornata nella parte alta da una grande nicchia trilobata, e il portale presenta un coronamento trabeato con cornicione impostato su capitelli tuscanici. L’interno mostra un impianto centralizzato, una sorta di croce greca con bracci poco profondi, dagli angoli arrotondati e a terminazione rettilinea, sormontata da una cupola emisferica con lanterna al centro. Costruita nell’Alto Medioevo sui resti di un tempio romano, nel 1250 fu oggetto di lavori di ampliamento per mano del Maestro Scagno, cui ne seguirono altri nel 1348 e nel 1653. Tuttavia la definitiva configurazione avvenne nel 1740 ad opera degli architetti Carlo Maggi, Pietro Perugini e Pietro Severini, mentre nel 1766 venne consacrata e prese il titolo di Santa Maria Nuova.

Opere Conservate

L’altare maggiore, dedicato alla Natività, è sormontato sulla parete di fondo da una cornice lignea dorata risalente al 1778, al centro della quale si trova una nicchia a tutto sesto contenente la statua in legno tardo-trecentesca della “Madonna della Tempesta”. La statua, scolpita in legno ricoperto da un leggero intonaco di gesso policromo, per datazione e fattura rappresenta una delle opere più interessanti della scultura marchigiana. L’altare della cappella di destra conserva una piccola tela con iSanti Pasquale Baylón e Francesco di Assisi, mentre la pala d’altare, raffigurante l’Immacolata Concezione con il Padre Eterno ed Angeli, è attribuita a Domenico Malpiedi (ca. 1570–1651) di San Ginesio nelle Marche, cui è riferita anche la pala dell’altare di sinistra rappresentante la Madonna con Bambino, Angeli, un confratello del Suffragio e le Anime Purganti. Nella stessa sono presenti anche leStazioni della Via Crucis del 1776, opera del fermano Gilberto Todini. La più tarda decorazione parietale dell’interno della chiesa, compresi i pennacchi della cupola con i profeti Davide, Mosè, Isaia ed Ezechiele, fu realizzata nel 1905 dal tolentinate Francesco Ferranti.
Interessanti l’affresco della “Madonna delle Grazie” (XVI sec.) e una possente statua in legno policromo del “Cristo morto” (sec. XVII). Di particolare pregio l’organo che sovrasta la navata della chiesa.

Museo del Santuario di San Nicola

L’esposizione presenta manufatti di vario genere e periodo dal XIV fino al XX secolo: dipinti, sculture lignee, mobilio, oreficerie e suppellettili sacre, ex voto, ceramiche e inoltre reperti archeologici di epoca picena e romana. E’ un Museo che ci parla della grande devozione intorno alla figura di San Nicola da Tolentino, la devozione dei fedeli, ma anche in grado di raccontarci gli usi e e costumi e delle delle genti e delle istituzioni locali, le vicissitudini, e i fatti salienti della vita di quel tempo

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Opere Conservate

Gruppo ligneo da presepio raffigurante la “Madonna della Natività” del secolo XIV con Gesù e San Giuseppe, è una delle più antiche e preziose sculture nelle Marche.
Una tavola con dipinto l’Eterno Padre benedicente e una lunetta con cornice dorata raffigurante una Pietà, un tempo parti di una grande pala dipinta collocata sull’altare maggiore della Basilica, eseguite tra il 1513 e il 1526 da Marchisiano di Giorgio un pittore di origine slava, che solo recentemente è stato riscoperto (che fu attivo nel territorio di Tolentino tra l’ultimo decennio del ‘400 e la prima metà del ‘500). La tela Vergine e Santa Caterina fra San Nicola e San Liberato del pittore Simone de Magistris. Il San Nicola da Tolentino di Giovanni Francesco Barbieri più noto come il Guercino.
Lo Zampognaretto in ceramica attribuibile a Giovanni della Robbia, opera più importante della preziosa raccolta di ceramiche di varie epoche (XVI-XIX sec.), donazione del Cardinale Giovanni Tacci, con produzioni dei più famosi Maestri delle Marche, toscani, umbri, abruzzesi e liguri oltre giapponesi e cinesi, che inglesi della famosa casa fondata a Stafford da Josiah Wedgwood. Ricchissima la collezione di tavolette votive in grado di raccontare la storia della Basilica di San Nicola. Si tratta di una raccolta di circa 400 ex voto dedicati a San Nicola che coprono un arco di tempo che va dalla fine del ‘400 alla fine dell’’800 in grado di testimoniano i fatti salienti, le tragedie, gli incidenti avvenuti nell’area. Suggestivo il grande Presepio meccanico, visibile tutto l’anno ed il diorama con scene della vita di San Nicola. Numerosi gli oggetti d’argento in mostra, tra cui reliquiari, ostensori, candelabri, calici, turiboli, che fanno parte del patrimonio del santuario.

Basilica di San Nicola da Tolentino

Siamo nel 1305, la Basilica di San Giorgio che venne costruita fra il 1200 e il 1300, ora è intitolata a Sant’Agostino e ospita un convento di frati agostiniani. Uno di questi, certo Nicola di Compagnone originario di Sant’Angelo in Pontano è morto. Costui è un Santo uomo, conosciutissimo in vita per i suoi potenti poteri taumaturgici e ora che è morto, ogni giorno, si assiste ad una ressa di fedeli che si accalcavano costantemente attorno al suo sepolcro. E’ in questo clima che inizia a diffondersi la fama di San Nicola da Tolentino e prendere forma il progetto della Basilica che verrà a lui intitolata. Costretti ad accelerare i tempi, i frati agostiniani cominciano a far costruire la chiesa grande e lanciano una campagna di affreschi per decorare la chiesa esistente che prese ben presto il nome di cappella (più tardi Cappellone) di S. Nicola.

Facciata

Ora siamo nel 1432, la canonizzazione di Nicola non è ancora arrivata da Roma, nonostate i miracoli si susseguano. Occorre la capacità decisionale e i soldi di un potente Capitano di Ventura di origini tolentinate per dare una facciata degna a quello che a più di 100 anni dalla morte è un importante santuario. E’ il 1435 ed ora la facciata è rivestita di pietra d’istria e il nome di Niccolò Mauruzi della Stacciola (detto Niccolò da Tolentino) è ora inciso a futura memoria perché, il nostro devoto soldato, fatto prigioniero dagli Sforza è stato ucciso. L’impressione è notevole, dalla facciata rivestita in pietra, emerge il portale in cui la preziosità del gotico fiorito si fonde con gli effetti spaziali del primo Rinascimento.
Il Mauruzi era da poco Capitano Generale al soldo dei Fiorentini, la sua fama aveva raggiunto l’apice, e per la sua città non bada a spese ingaggiando il meglio su piazza dopo Donatello, ovvero lo scultore fiorentino Nanni di Bartolo detto il Rosso. Nella lunetta del portale, è rappresentata la Madonna con il Bambino tra S. Agostino e S. Nicola, ma a sovrastarla c’è un S. Giorgio a cavallo e il drago, protettore dei cavalieri, poi in alto, nella parte cuspidale, la statua dell’Eterno Padre.
Le due statue laterali (la testa di quello di sinistra è un reperto archeologico) e i sei bassorilievi raffigurano personaggi con in mano un libro o un foglio di pergamena; si può supporre che vi siano rappresentati gli otto agiografi del Nuovo Testamento.

Cappellone

Cappellone: Siamo nel 1320 e i frati agostiniani hanno fatto quello che hanno potuto per dare un luogo degno ai devoti del loro compianto confratello. Hanno sacrificato la loro sala capitolare (il luogo di aggregazione del monastero) e senza saperlo, assegnando i lavori a Pietro da Rimini, ci consegneranno uno dei più gandi lasciti artistici delle Marche, il più vasto ciclo di affreschi della scuola riminese di Giotto. Negli spicchi della volta si alternano gli Evangelisti ed i Dottori della Chiesa tutti ritratti seduti su di scrivanie piene di libri; osservando la volta dalla vela dove è ubicato l’altare e continuando in senso orario si notano:Ambrogio e Marco con un leone; Agostino e Giovanni con un’aquila; Gregorio e Luca con un toro; Girolamo e Matteo con un angelo. Alla base sono raffigurate le Virtù: Carità, Prudenza, Speranza, Giustizia, Temperanza, Fede, Fortezza. Le pareti sono divise in due ordini più le lunette dove da quella di fronte l’ingresso parte la narrazione con una Annunciazione; seguono l’Arrivo dei Magi, la Presentazione al Tempio e il Transito di Maria. Nell’ordine mediano la narrazione è disposta in riquadri di diversa grandezza; partendo dalla parete che dà verso la chiesa dove al centro è una Strage degli innocenti; proseguendo in senso antiorario sono la Pentecoste, il Sepolcro vuoto, Cristo nel Limbo, Orazione nell’Orto, Predicazione di Gesù, Entrata a Gerusalemme, Nozze di Cana, Sacra Famiglia, Cristo fra i Dottori. Al centro del “Cappellone” si innalza una pregevole statua della seconda metà del ’400 in pietra policromata sostenuta da un’arca in marmo sotto la quale era stato sepolto il corpo di S. Nicola di allo scultore fiorentino Niccolò di Giovanni.

Chiostro

Se per il Cappellone i frati agostiniani avevano sacrificato la sala capitolare per il chiostro pensano ad un opera monumentale (possibile anche la data del 1370). Vengono chiamate a lavorare le forze lavorative locali, la locale corporazione di mastri carpentieri, falegnami, scalpellini, ridistribuendo, così, benessere nella popolazione. Il chiostro rimarrà il più antico esempio di chiostro mendicante italiano. Inizialmente più grande, il chiostro presenta due lati a nove arcate e due a sette. Fu nel XVII, negli anni della realizzazione degli affreschi, che un’ala dovette arretrare per fare spazio alle 4 cappelle laterali all’interno della Basilica. Il chiostro si ridusse di dimensioni e con i materiali del precedente fu innalzato il loggiato di collegamento interno del convento, sostenuto da 16 colonne di reimpiego, che vediamo tuttora. Le colonne sono costruite in cotto e differiscono tra loro per la forma, essendo alcune lobate, altre cilindriche altre ancora poliedriche. 30 i capitelli decorati con motivi vegetali, ad eccezione di quello angolare che presenta figure umane che la tradizione vuole siano i ritratti dei committenti. Nella cornice che corre al di sopra delle arcate sono ancora inseriti dei bacini ceramici che per numero e qualità costituiscono un insieme eccezionale. Raffinato ed elegante, nel lato sud del chiostro stesso, il portale in cotto, recante tracce di policromia, che immetteva nell’antico refettorio. Tutte le pareti del chiostro ospitano affreschi con Storie di S. Nicola, eseguiti nel 1690–1695 da Giovanni Anastasi e Agostino Orsoni. Sulla parete nord del chiostro, però, presso l’uscita laterale dalla chiesa, trova un affresco trecentesco, raffigurante laMadonna col Bambino, da ascrivere probabilmente, nonostante le ridipinture, alle stesse maestranze riminesi di Pietro da Rimini attive nel Cappellone.

Interno

L’interno della Basilica di San Nicola a Tolentino rappresento un cantiere attivo fino alla seconda metà del 1400. Si torno sul progetto iniziale aggiungendo le cappelle laterali solo nel 1632. Poi ancora duecento anni prima di mettere mano all’aula con l’architetto fermano Giovanni Battista Carducci. Pregevole e impressionante il soffitto a cassettoni lignei dorati, voluto dal vescovo agostiniano Giambattista Visconti arrivato insieme agli agostiniani lombardi e realizzato da Filippo e Piero da Firenze tra il 1605 ed 1628. L’opera ebbe il costo di 40.000 scudi romani.

Cappelle a sinistra

  • Cappella Madonna dei Miracoli — Pala con San Giovanni che ridà vita ad una ragazza, opera di Giovanni Anastasi (1691);
  • Cappella Santa Rita — La pala dell’altare, raffigurante Santa Rita, copia del 1912 della tela di Giacinto Brandi, conservata nella chiesa di S. Agostino di Roma, opera del pittore tolentinate Girolamo Capofierri (1850–1913).
  • Cappella Beata Vergine della Consolazione — Venne finaziata e poi retta dalla Confraternita dei Cinturati. La pala, raffigurante la Madonna della cintura tra S. Agostino e S. Monica, venne eseguita nel 1858 da Luigi Fontana ed è una derivazione dal quadro diGiovanni Gottardi (1733–1812) in S. Agostino a Roma.
  • Cappella di San Tommaso da Villanova — La pala sull’altare, raffigurante l’Elemosina di S. Tommaso da Villanova, di Giuseppe Ghezzi fu fatta venire da Roma nel 1663. Originariamente la cappella era seguita da quella di S. Lucia, soppressa nel 19° secolo per far posto alla tribuna dell’organo.

Cappelle a destra

  • Cappella di San’Anna o Cappella Benadduci — costruita dalla nobile famiglia di Tolentino dei Benadduci, era in origine la seconda, che seguiva la cappella della Natività della Beata Vergine, eliminata nella ristrutturazione di Carducci (1859). Sull’altare di fondo conserva una delle opere più importanti della Basilica, la Visione di S. Anna (1640) di Giovanni Francesco Barbieri detto conosciuto come il Guercino. Sulle pareti laterali sono due tele raffiguranti la Gloria di Santa Lucia e l’Orazione nell’orto di Marcantonio Romoli, rispettivamente del 1754 e del XVII secolo. La cappella è stata risistemata, a spese della stessa famiglia Benadduci, nel 1905, in occasione del VI centenario dalla morte di San Nicola, come ricordano le due lapidi poste alla base delle pareti laterali.
  • Cappella del Sacro Cuore — Mostra una pala raffigurante il Cristo che mostra il Sacro Cuore a Santa Margherita Maria Alacoqueeseguita da Virgilio Monti (1920). Nella parete di destra è affisso un crocifisso ligneo che, secondo la tradizione, sarebbe quello venerato da San Nicola, al centro di una tela secentesca raffigurante la Madonna, S. Giovanni Evangelista e la Maddalena ai piedi della croce. Sulla parete di sinistra una Adorazione dei Pastori attribuita a Domenico Malpiedi.
  • Cappella della Beata Vergine del Buon Consiglio — Mostra una pala del XIX secolo; copia dell’immagine venerata con questo titolo nel santuario agostiniano di Genazzano eseguita su disegno dell’agostiniano Giovanni Gerold e dorata da Tito Beccachiodi di Recanati. Nelle pareti laterali due tele tardo ottocentesche narrano le vicende della sacra immagine.
  • Cappella Vergine della Pace — Sull’altare è posta la tela raffigurante la Madonna della Pace (o dell’ulivo), eseguita nel 1810 daGiuseppe Lucatelli (1810). Sulla parete destra un dipinto raffigurante San Nicola che libera le anime purganti (sec. 17°-18°). Sotto l’altare sono le reliquie, composte in un corpo in cera, di una martire romana denominata Lorenzina.

Cappella Maggiore

L’altare maggiore è in marmi policromi e venne eseguito in occasione del VI centenario della morte di San Nicola nel 1905 per volontà dell’Ordine Agostiniano . Il presbiterio e del coro fu decorato più volte nel corso dei secoli. Il coro ligneo in stile barocco e in noce massiccia che vediamo oggi è stato realizzato tra il 1730 e il 1734 dall’agostiniano Vincenzo Rossi da Fermo e dal fratelloFilippo coadiuvati da Michele Andreotti.

La cupola è opera di Giovanni Battista Carducci (1859) ed affrescata nello stesso anno da Luigi Fontana, che vi riprodusse laVisione di Ezechiele di Raffaello. Gli Evangelisti e gli Angeli con i simboli di S. Nicola nei pennacchi e la Gloria di S. Nicola nella lunetta alla base della cupola sono dello stesso Fontana.

Due porticine laterali in legno, scolpite dai tolentinati Nicola ed Enrico Reali (1926), immettono alla cella campanaria e alla cantoria della cappella delle Sante Braccia. Ai lati del presbiterio sono appese due grandi tele, raffiguranti L’apparizione della Vergine e di S. Agostino a S. Nicola e Il Miracolo delle Sante Braccia, eseguite tra il 1627 e il 1628 da Giovanni Battista Foschi.

Cappella delle Sante Braccia
Alla cappella, edificata per la venerazione delle braccia del Santo, costituita da tre vani consecutivi realizzati nel Seicento ampliando la vecchia sacrestia quattrocentesca, si accede attraverso un portale seicentesco in pietra. I lavori posero il reliquiario con le Sante Braccia e una parte del muro affrescato con l’immagine del santo al centro di una piccola abside, il tutto chiuso da una cancellata dorata.
Le decorazioni dei due primi ambienti videro diversi interventi. Nel 1819 le pareti furono ricoperte di finti marmi in scagliola daStefano da Morrovalle. La decorazione pittorica fu affidata a Emidio Pallotta di Tolentino (1803 -1868), che sovrintese al completamento del rivestimento in finto marmo e decorò la volta del primo vano con un cielo stellato. Nel secondo, la cupola era già stata ornata nel 1662 con un Paradiso in stucco, opera del comasco Marco Antonio Baraciola. Al Pallotta si devono le tre figure della Trinità al centro, eseguite in terracotta, e le tele nei pennacchi.
Due grandi quadri, frutto di donazioni ex voto, adornano le pareti laterali: L’incendio del Palazzo Ducale di Venezia di Matteo Stome La peste di una città veneta di Giovanni Carboncino.
Le sei statue in gesso, allusive alle Virtù di San Nicola da Tolentino (Penitenza, la Preghiera, l’Innocenza, l’Umiltà, la Purezza e la Beneficenza) e i Bassorilievi (Fede, Fortezza, Speranza, Religione, Giustizia, Temperanza, Carità e Prudenza) nelle lunette sulle sommità delle pareti vennero eseguiti, su disegno dello stesso Pallotta, da Giambattista Latini da Mogliano.
Nell’ultimo vano, chiuso dalla ricca cancellata dorata, eseguita nel 1698 da Tommaso Ferri di Fermo, l’altare, consacrato nel 1859 e restaurato nel 1922, presenta un paliotto e i gradini d’argento eseguiti nel 1696 dai maceratesi Sebastiano Perugini eFrancesco Tartufati.

Cripta
La cripta sotterranea venne edificata nel 1932, esattamente sotto il pavimento del Cappellone nel luogo dove effettivamente venne ritrovato il sacro corpo. Il progetto su schema gotico originale fu all’architetto Arnolfo Bizzarri, la stilizzazione delle cornici, degli intagli, dei capitelli, dei costoloni e della porticina del Tabernacolo sono opera dei tolentinati Guido Zazzaretta e Luigi Pettinari; l’urna del santo è stata eseguita da Enrico Celli su disegno dell’arch. Bizzarri. Nel 1975 sono stati sostituiti i bassorilievi originali (conservati nel Museo) con quelli dello scultore agostiniano Stefano Pigini.

Curiosità

In un anno imprecisato, intorno alla fine del XIV secolo, fu tentato di profanare la salma mediante il taglio delle braccia dalle quali sgorgò, allora come in molteplici occasioni posteriori, del sangue vivo. Allo scopo di evitare ulteriori simili tentativi, il corpo fu sepolto in un luogo di cui si perse la memoria. Solo nel 1927 esso fu ritrovato sotto l’arca marmorea al centro del Cappellone e fu costruita, al di sotto di questo, la cripta nel quale il corpo tuttora riposa. Una ricognizione straordinaria delle reliquie, custodite nel forziere quattrocentesco posto nella cappella delle Sante Braccia, ha riportato alla luce una serie di manufatti tessili di varia tipologia e di epoche diverse: alcune coppie di copri-reliquiari in seta dei secoli 17°-19°, due tovaglie d’altare di lino finissimo, da ascrivere ai secoli 14° e 17°, una stola porta-reliquie, un copri-cuscino ed infine due vesti liturgiche di foggia arcaica e d’aspetto molto dimesso: l’alba e la casula, della fine del 13° secolo, che danno una emozionante sensazione del Santo nel momento più sacro della sua vita sacerdotale.

Cattedrale di San Catervo

La Cattedrale di San Catervo è stata la prima Chiesa di Tolentino. All’inizio si trattava di un edificio romano in cui fu deposto il sarcofago di Catervus. Di questo primitivo edificio, un mausoleo a pianta circolare con tre absidi, restano solo alcuni elementi del protiro della chiesa: una lunetta in marmo con angeli e apostoli — ora nell’atrio dell’ingresso posteriore — e quattro leoni che attualmente sorreggono il sarcofago del Santo. Nel 1256, i monaci benedettini di San Catervo chiedono al Papa Alessandro IV l’autorizzazione per poter restaurare la chiesa. La nuova chiesa romanica era a tre navate ad orientatamento est-ovest, con pilastri cruciformi e presbiterio nell’area dell’attuale facciata,. Questa costruzione, visibile in parte nella Cappella di San Catervo, detta allora cappella della SS. Trinità, rimase in piedi fino al 1820, quando si volle dare un nuovo assetto all’ormai vecchio edificio. L’incarico fu dato in un primo tempo al pittore Giuseppe Lucatelli di Tolentino ed in un secondo momento, all’architetto maceratese conte Filippo Spada. Questi dell’assetto architettonico di tipo neoclassico, cambiò l’orientamento della chiesa, ponendo l’ingresso dove era il presbiterio della chiesa monastica del 1256, del quale rimane il grandioso portale romanico ubicato sul lato sinistro della Chiesa e il campanile alto 35 metri. L’edificio a tre navate fu realizzato a croce latina con transetto terminante con due cappelle radiali
Nella zona del Panteum (il portone a destra dell’abside entrando dall’ingresso principale) si distinguono le fondamenta del suddetto, al di sotto di un pavimento di vetro, resti degli affreschi del IX secolo, e vari frammenti della decorazione di questa costruzione.

Opere Conservate

All’interno della chiesa notevoli opere d’arte tra cui una Pietà in pietra di provenienza nordica. In fondo alla navata sinistra si apre la Cappella di San Catervo che racchiude il suo grandioso Sarcofago, uno dei più importanti delle Marche. Ricavato da un unico blocco di marmo, rientra nella categoria dei sarcofagi detti “a porte di città”. La fronte è divisa in cinque scomparti, di cui tre figurati e due con decorazioni a scanalature ondulate; nel tergo sono raffigurati i busti di Catervo e della moglie Settimia Severina. Le figure giovanili dei due sposi, colti nel gesto della dextrarum iunctio e con una corona d’alloro tenuta sopra le loro teste dalla manus dei, sono inserite nel clipeo centrale della faccia posteriore, mentre i ritratti in età avanzata si trovano sugli acroteri angolari del fronte. Le pareti e la volta a crociera ogivale della cappella sono affrescati con dipinti di Marchisiano di Giorgio:l’Adorazione dei Magi, la Crocifissione, una Madonna in trono con Bambino e Santi e, nella volta, Evangelisti e sibille. Nell’Ottocento, con la ricostruzione ed elevazione a cattedrale dell’antica chiesa medievale a lui dedicata, il culto di San Catervo avrà la sua piena celebrazione iconografica ad opera di vari pittori. Filippo Spada dipinge l’Assunta e i Santi Nicola da Tolentino, Settimia, Catervo, Tommaso da Tolentino e Nicola di Mira nel 1827 dipinti sulla pala dell’altare maggiore. Luigi Fontana che dipinge nel 1884 nell’atrio della Cappella di San Catervo una vetrata a mo’ di trittico con Santa Settimia, San Catervo e San Basso Francesco Ferranti che dipinge nell’ottagono centrale della volta del presbiterio (1914–1916) un San Catervo in abito militare romano. Da segnalare infine il tondo centrale del paliotto d’altare realizzato nel 1958 dallo scultore tolentinate Adeo Occhibianchi con un San Catervo in abiti militari e palma accanto a San Nicola.

Curiosità

La tradizione vuole che Catervo portò per primo a Tolentino i principi della fede in Cristo. La vita di San Catervo da Tolentino è poco documentata, malgrado le sue spoglie siano certe e conservate con quelle della moglie Settimia Severina e del figlio Basso in uno splendido sarcofago della fine del IV secolo custodito nella concattedrale di Tolentino,. Il sarcofago che fu aperto, per la prima volta nel 1455 e ne fu estratto il capo di San Catervo posto in un reliquiario per la venerazione dei fedeli, è prezioso non solo dal punto di vista artistico, ma anche documentale con le sue tre iscrizioni. Queste parlano di Flavius Iulius Catervius, 56 anni, prefetto del pretorio romano e del luogo della sepoltura, ma tacciono sulla data e le circostanze della morte. In alcuni documenti dell’VII — IX secolo, Catervo cominciò ad essere detto martire e confessore e nel Quattrocento il Comune di Tolentino lo invocherà come Santo protettore effigiandolo nelle sue insegne e nei suoi sigilli. A quei tempi il santo protettore di una città importante come Tolentino non poteva non avere una storia da narrare e quindi fin dal XIII secolo fu redatta una Vita di San Catervo (piena di errori ed anacronismi) Nel Settecento la Vita di San Catervo fu ripresa da molti autori fra cui il canonico della cattedrale don Nicola Gualtieri. Alla fine del XVI secolo iniziò la revisione storica della figura di San Catervo e il cardinale Cesare Baronio lo identificò con un Catervius comes sacrarum largitionum (responsabile del tesoro, della zecca, delle imposte e delle miniere) al quale gli imperatori Graziano, Valentiniano II e Teodosio inviarono una lettera il 19 agosto 379. Studi rigorosi condotti a partire dalla prima metà del XX secolo dimostreranno l’attendibilità di tale identificazione. San Catervo sarebbe stato quindi un funzionario vissuto alla corte degli imperatori costantiniani e valentiniani che preferì lasciare Roma e trasferirsi nella più tranquilla Tolentino dove intorno al 390 morì e fu sepolto dalla moglie Settimia in un sarcofago posto all’interno di un mausoleo appositamente costruito. Un funzionario imperiale trasformato in un santo martire? Ci fu un tempo in cui le vecchie iscrizioni, i monumenti sontuosi ornati di personaggi e scene bibliche con il frequente ripetersi del monogramma del Cristo e della croce poteva facilmente essere scambiato per il sepolcro di un santo e soprattutto perché Catervo può realmente essere stato una figura esemplare di marito, padre, cittadino e cristiano che il popolo fin da subito ha riconosciuto come santo e la Chiesa successivamente ha sempre confermato. Tolentino aveva bisogno di un santo importante, e lo ha cercato fra le pieghe della storia, poi però, questa, ha fornito alla città uno dei più grandi: San Nicola

Palazzo Sangallo

Di fronte al Palazzo Comunale troviamo il Palazzo Parisani, oramai conosciuto come Palazzo Sangallo che deve il suo nome al progettista Antonio da Sangallo il Giovane. Fu eretto per il tolentinate Cardinale Ascanio Parisani. La costruzione dell’edificio, risalente al 1516, venne interrotta per motivi sconosciuti. La costruzione del Palazzo Parisani da parte del Sangallo si interruppe al solo piano terra ed al mezzanino, resi con un paramento bugnato e un tetto a due spioventi. Il completamento, avvenne 416 anni dopo nel 1932 su progetto dell’ing. Stefano Gentiloni Silverj. Del progetto originale esiste un disegno di Antonio da Sangallo, attualmente custodito agli Uffizi. Imponente l’androne che immette nei vari ambienti. Al primo piano si può visitare il Museo Internazionale dell’Umorismo nell’Arte — MIUMOR.

Curiosità

Come già accennato, la costruzione dell’edificio, risalente al 1516, venne interrotta per motivi sconosciuti. Facendo delle ricerche sulla vita di Antonio da Sangallo il Giovane, vero nome Antonio Cordini, su wikipedia possiamo fare delle ipotesi. Bramante che si stava occupando della costruzione di San Pietro non lasciava molto spazio allo Zio, Giuliano da Sangallo, coadiuvato com’era anche da Raffaello. Bramante, però, muore nel 1514 e suo zio nel 1516. Dal 1516 il nostro Antonio lo troviamo coadiutore di Raffaello al cantiere della Basilica di San Pietro e nel 1520, alla morte di questi, nominato primo architetto della fabbrica di San Pietro, con coadiutore Baldassarre Peruzzi. Fu solo l’inizio di un lungo predominio culturale a Roma. Questa la serie di motivi per i quali il Sangallo si allontanò da Tolentino?

MIUMOR Museo dell’umorismo nell’arte

Unico in Italia e fra i pochi nel mondo il Museo Internazionale dell’Umorismo nell’Arte, il Miumor, fondato come Museo della Caricatura nel 1970 da Luigi Mari, medico, artista ed ex sindaco di Tolentino, conserva più di 3.000 opere originali tra incisioni, pitture, disegni, sculture dei maggiori artisti, tra i quali: Leonardo, Agostino Carracci, Daumier, Gulbransson, Galantara, Scarpelli, Maccari, Attalo, Onorato, Topor, Nino Za, Longanesi, Searle, Levine, Jacovitti, Mordillo, Fellini, Altan, Garretto, Folon, Altan, Gec, Pannaggi, Maccari, Stelle ed Enrico Sacchetti. E’ riconosciuto a livello internazionale come punto di riferimento per tutti gli artisti, gli studiosi e gli appassionati dell’arte umoristica e non solo.
Il MIUMOR è stato definito un libro di storia che registra le lotte, da quelle minime, di critica agli errori quotidiani dell’uomo, a quelle di critica del potere.

Palazzo Comunale

Sulla sinistra della Torre degli Orologi si trova il Palazzo Comunale, ricostruito nel 1860 su disegno del tolentinate Emidio Pallotta su di un edificio di origine medioevale fatto costruire da Berardo di Varano nel 1361. Sul capitello di una colonna del portico era posta la statua di Giulia figlia dell’Imperatore Tito, attualmente conservata presso il Museo Civico Archeologico “A. G. Silverj”.
E’ noto che nel 1515 il Palazzo si arricchì di un portico con colonne e di un’ampia scalinata e che dopo un incendio doloso, appiccato nel 1528, subì ulteriori modifiche.
L’attuale facciata ripete, l’aspetto di quella antica: tra sei massicci pilastri si aprono cinque porte ad arco sovrastate da uno stretto balcone. Aspetto originale visibile in un ex-voto del 1703, conservato nel Museo del Santuario, il palazzo è visibile nel suo a due piani, con, sulla facciata l’immagine della Madonna, di San Nicola e numerosi stemmi.
Durante i lavori del 1860 si scoprirono i ruderi di un probabile edificio termale romano.
Molte delle sale interne, tra cui la Sala Consiliare e la Sala dei Matrimoni, sono decorate con pregevoli affreschi del Pallotta e del Lucatelli.

Opere Conservate

La Sala Consigliare fu affrescata dal Emidio Pallotta di Tolentino. Al centro del soffitto c’è una tempera, che rappresenta le Tre Grazie, di Giuseppe Lucatelli anch’esso di Tolentino, al quale si debbono anche le 28 tele che decorano il fascione con motivi mitologici. Sulla parete di fondo spicca un grande olio raffigurante la Madonna con Bambino di Emidio Pallotta, copia di un’opera del pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo. Interessanti, nel Gabinetto del Sindaco, il ritratto su pergamena del sec. XV dell’umanista tolentinate Francesco Filelfo e due medaglioni con putti del Lucatelli, copie dalle pitture del Correggio nella camera della badessa Giovanna Piacenza del Monastero di S. Paolo in Parma. Nella Sala dei Matrimoni si può vedere una serie di ritratti di personaggi illustri tolentinati ad Emidio Pallotta ma non solo.

Torre degli Orologi

La Torre denominata degli Orologi, facente parte del Complesso della Chiesa di San Francesco di Tolentino, è il simbolo della città. L’importante orologio che ha sempre richiamato visitatori da ogni parte, fu costruito nel 1822 da Antonio Podrini di Sant’Angelo in Vado. Esso è formato da quattro quadranti.

Descrizione

l primo quadrante dall’alto indica le fasi lunari e mostra la luna come un volto che, nell’arco dell’orbita di 29 giorni e 12 ore, presenta il profilo destro in fase calante, il volto intero quando è luna piena, il profilo sinistro in fase crescente e che si nasconde al momento della luna nuova. Il secondo, la meridiana meccanica a quadrante, segna le ore “all’italiana”. Per comprendere il secondo quadrante con l’ora italica, bisogna ricordare che nei secoli scorsi il tempo si calcolava in base alle ore canoniche (mattutino, terza, sesta, nona, vespro e compieta) associate alle variazioni della luce durante il giorno. Il quadrante ha una lancetta che compie quattro giri nel corso delle 24 ore. Il numero VI indica, in successione, il culmine della notte, l’alba, il culmine del giorno ed il tramonto. Segue poi l’orologio astronomico, che segna le ore in base ai criteri attuali. All’origine l’indicazione avveniva tramite la sola lancetta delle ore; solo recentemente, per una più facile lettura, è stata aggiunta la seconda, quella dei minuti. Nel quarto quadrante sono indicati i giorni della settimana e del mese. In basso, una meridiana solare serviva al “moderatore” per regolare gli orologi. L’orologio batte le ore ed i quarti. A mezzogiorno suona diversi rintocchi seguiti da una breve armonia.

Auditorium San Giacomo (ex Chiesa detta “della Carità”)

Dedicata a San Giacomo, se ne hanno notizie documentarie che si riferiscono ad una pergamena del 1233; tuttavia la chiesa doveva esistere già nel XII secolo, epoca a cui risale il portale romanico.
La struttura iniziale fu ampliata verso il 1421 grazie al Vescovo camerte Giovanni, alle donazioni di fedeli e alle concessioni del Comune di Tolentino. La Chiesa acquisì la denominazione “della Carità” quando, nei primi decenni dell’Ottocento, divenne sede della Confraternita omonima.

Descrizione

Sono di notevole pregio il portale romanico che si apre sulla facciata e quello laterale gotico con una ghiera in laterizio raffigurante motivi floreali ed delle specie di animali dell’immaginario medievale. Sopra il portale vi è una grande rosa di dodici colonnine disposte a raggiera; ai lati vi sono due aperture seicentesche attualmente tamponate. La piccola chiesa presenta un campanile romanico con un’ unica cella campanaria terminante con un cupolino seicentesco. All’interno vi sono due navate. Quella principale è abbellita dal soffitto a cassettoni del secolo XVI al centro del quale è inserita una statua in legno dorato che raffigura San Giacomo Apostolo, di scuola bolognese. I cassettoni, sono decorati con quattro rosette angolari e un rosone centrale più grande da cui pende un fiocco. Dal 1970 la Chiesa non è più aperta al culto, ed è attualmente adibita ad auditorium.

Chiesa di San Francesco

La chiesa di San Francesco in stile romanico-gotico, fu eretta nella seconda metà del ‘200. Della struttura originaria rimangono l’abside decorata con archetti pensili in pietra e bacini maiolicati e la cappella di destra, interamente dipinta. La chiesa è stata poi trasformata nel corso dei secoli e in particolare alla fine dell’800 in seguito al grave terremoto del 1873. Il corredo degli affreschi e delle tele della chiesa copre un arco di tempo che va dal XIV al XVII sec..

Opere Conservate

Di grande importanza, nell’abside dell’antica navata destra, oggi sagrestia, la “Crocifissione” riferibile alla prima metà del secolo XIV di scuola giottesco-riminese. Tra gli affreschi la Madonna con il Bambino del Maestro di Campodonico del 1363 emerge, per la grazia e la delicatezza della composizione. “La Madonna della Colonna” è un interessantissimo affresco staccato da un pilastro dell’adiacente Chiesa di San Giacomo detta della Carità (trasformata in auditorium non più visitable) e inserito in una cassa processionale, attribuibile al Maestro della “Dormitio” di Terni, pittore attivo tra l’Umbria meridionale e le Marche tra il 1370 e il 1420 (l’anonimo maestro deve il suo nome al monumentale affresco raffigurante la Dormitio Virginis, conservato nella chiesa di San Pietro a Terni).

Palazzo Parisani Bezzi

Nel centro storico della Città, in via della Pace, si trova il Palazzo Parisani — Bezzi, che deve il suo nome alle due famiglie storiche che ne furono proprietarie. Venne costruito verso la fine del XVII sec. inglobando un edificio più antico. Nella facciata esterna, sopra il portale in pietra è riportata un’iscrizione che testimonia l’avvenimento storico più noto che il palazzo abbia ospitato: la firma, nel 1797, del Trattato di Pace tra la Francia (rappresentata da Napoleone, non ancora imperatore) e lo Stato Pontificio.

Descrizione

Dalla biglietteria, situata al piano terra, si accede al primo piano (il cosiddetto piano nobile, il secondo piano era riservato alla servitù) introdotto da una sala d’ingresso dove inizia il percorso museale. La seconda stanza è detta “Sala degli Stemmi” o “Sala dei quadri” per via delle tele esposte alle pareti. Si prosegue, dunque, verso la “Sala Gialla” o “Sala della pace“, dove venne firmato il trattato di pace e che prende il nome dalle pareti ricoperte di damasco giallo-oro. La terza stanza è la “Sala Rossa“; che deve il suo nome al damasco che riveste le pareti. Al suo interno è presente il letto a baldacchino in cui dormì il generale francese. La stanza è collegata poi con il Gabinetto di Toletta, un ambiente a pianta irregolare riccamente decorato. Passando attraverso un’altra sala si accede alla Cappellina in cui non vi è rimasto nulla dell’arredo liturgico; al centro del soffitto vi è rappresentata la Colomba dello Spirito Santo. In seguito si apre la “Sala degli Arazzi“, stanza è così chiamata perché riccamente decorata da finti arazzi definiti “succhi d’erba”, ossia pitture imitanti arazzi eseguite con colori vegetali ad acqua stesi direttamente sui tessuti. Proseguendo nella stessa ala del piano ci sono gli ambienti riservati alla vita di tutti i giorni; si entra in una cucina con camino e piano cottura e altre sale affrescate in stile pompeiano. Il secondo piano è formato da vari ambienti che negli ultimi anni hanno ospitato mostre ed eventi vari.

Curiosità

Nella “Sala degli Arazzi” soggiornò durante i giorni della Battaglia del 1815 il comandante delle truppe austriache il Feldmaresciallo, Barone Federico Bianchi, che vi organizzò il quartier generale prima dello scontro con Gioacchino Murat. Secondo la tradizione egli rifiutò di dormire nella stessa stanza di Bonaparte, scegliendone una più grande ed accogliente. La storia la conosciamo tutti. Le truppe Austriache resistettero valorosamente a Tolentino aspettando i rinforzi da Jesi e per il Murat fu la disfatta che pesò sull’esito della guerra. Il re Ferdinando I delle Due Sicilie fece Bianchi duca di Casalanza aggiungendo a questo titolo un appannaggio considerevole. E’ importante ricordare che il palazzo Parisani Bezzi di Tolentino divenne una delle tappe del Grand Tour europeo, considerato percorso essenziale per la formazione dei giovani delle nobili famiglie europee del XVII sec., probabilmente per via delle stupende decorazioni parietali in linea con la corrente artistica dell’epoca.

Museo Napoleonico — Sale Napoleoniche

Per conoscere l’importanza anche simbolica del Museo Napoleonico di Tolentino e delle Sale Napoleoniche di Palazzo Parisani Bezzi, occorre conoscere i dettagli del trattato di pace e i risvolti ad esso collegati. Palazzo Parisani — Bezzi ospitò diverse personalità ma è divenuto famoso per aver accolto, dal 16 al 19 febbraio del 1797, Napoleone Bonaparte. Il giovane condottiero francese, al termine della Campagna d’Italia, sottoscrisse, nella sala gialla, con i delegati della Santa Sede inviati da Papa Pio VI, il Trattato della Pace di Tolentino. Con esso, il Papa fu costretto a cedere alla Francia Avignone e le Legazioni di Bologna, Ferrara e della Romagna e, in base a convenzioni precedenti, a pagare 21 milioni di franchi, a consegnare 500 codici della Biblioteca Vaticana e 100 opere d’arte. I delegati del Pontefice furono intimoriti ed influenzati anche dalla presenza a Tolentino di 15.000 soldati francesi e dalle minacce di invasione dello Stato pontificio da parte di Napoleone, il quale giunse perfino a strappare alcune pagine del trattato in segno di intimidazione. Ancora oggi è possibile visitare le stanze occupate da Napoleone, con i mobili ed i suppellettili dell’epoca.

Chiesa del Sacro Cuore

A Tolentino c’è una piccola Chiesa un poco defilata, comunque sempre raggiungibile a piedi dal centro, che suscita grande interesse religioso e devozionale in molti abitanti. Stiamo parlando della Chiesa del Sacro Cuore o anche detta dei “sacconi”.
La Chiesa deriva ampliamente dalla precedente di San Benedetto, sia la facciata che gli affreschi dell’interno sono opera di Luigi Fontana. Anche la pala raffigurante “La visita del Sacro Cuore a S. Maria Alacoque” è di Luigi Fontana. Sulla parete destra vi si trova una grande tela del secolo XVIII, che rappresenta la Madonna tra S. Nicola e S. Benedetto; sulla parete sinistra, Santa Giacinta Marescalchi, di Girolamo Capoferri di Tolentino.

Curiosità

Specialmente durante la Settimana Santa, nella piccola chiesa vengono rispettate alcune tradizioni secolari con dei segni molto cari ai fedeli. Viene esposta la ” Tovaglia della Passione “, un capolavoro di ricamo antico e una serie di candelabri utilizzati nei secoli solo in occasione di guerra o di vaste calamità. Viene celebrata la messa in latino secondo l’antico rito (chiamato anche “rito straordinario”) in una chiesa riccamente addobbata secondo tradizione per il tempo di passione e la miracolosa statua della Madonna Addolorata, rivestita di sette spade. Nella “Processione del Venerdì Santo” escono incappucciati ed in parata i confratelli della Confraternita del Sacro Cuore di Gesù (istituita nel 1805), indossando vesti di rozzo tessuto dette anche “Sacconi”. In questo periodo resta aperto il Museo della Confraternita che raccoglie documenti, cimeli ed una raccolta di santini antichi.

Chiesa del Santissimo Crocifisso dei Cappuccini

È una tipica chiesa cappuccina, ma si segnala per la sobrietà e l’eleganza sia dell’esterno e sia dell’interno. La chiesa trae le sue origini dall’arrivo nel 1539 dei Cappuccini nel territorio di Tolentino. I Religiosi iniziarono la costruzione nell’anno 1589, quando la nobile Laura Zampeschi, vedova di Alessandro Parisani, donò parte dei suoi orti per la costruzione della Chiesa che fu consacrata nel 1596. Lo ricordava una lapide ora scomparsa in cui si evinceva la partecipazione del comune: “Hos hortos Fratibus Cappuccinis Laura Zampeschi e foro Pompilio pietosissima donavit anno Domini 1596“. Questa chiesa fu dedicata a Maria SS. Costantinopolitana, titolo rimasto fino alla fine del 1800. La relativa immagine bizantina su tavola, fu donata forse dalla signora Zampeschi. Di detta immagine scomparsa, resta presentemente una copia su tela.
All’interno, lo stile è quello tipico Cappuccino delle origini, con un’unica navata con tre cappelle ed altari da un lato, il presbiterio con il coro dietro l’altare maggiore. L’unica campana, secondo la regola cappuccina, nel campaniletto a vela fu acquistata con la spesa di sei scudi nel 1599. Il portico dinanzi la chiesa risale a qualche anno più tardi: 1608. Solo nel 1926 fu intitolata come nuova Parrocchia al SS. Crocifisso.

Opere Conservate

L’elemento più prezioso è il Crocifisso dipinto su tavola di legno, del secolo XVI. Origine di questa immagine, secondo una tradizione, risale ad un cantastorie di passaggio che lo portava in giro nelle sue peregrinazioni e che lo lasciò qui nel convento dei Cappuccini, che lo ospitarono. L’elemento più interessante è costituito dall’altare maggiore in legno intagliato che unitamente al Tabernacolo, è opera di due Cappuccini (1689) come si rileva da una pergamena attaccata sul lato posteriore di detto tabernacolo. Tra le opere più significative si può ammirare una interessante tela rappresentante il “Noli me tangere” ed una croce lignea sulla quale sono dipinti il Crocifisso e l’Addolorata. La pala dell’altare rappresenta “La Madonna con il Bambino in una gloria di Angeli con ai piedi S. Francesco (in preghiera) e S. Andrea (con un ginocchio piegato)”. Quest’opera, considerate le condizioni, ha incerte attribuzioni. In una lettera inviata ai Priori di Tolentino nel 1604 da Lancillotto Mauruzi, veniva raccomandato il famoso pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio, ospite dei religiosi di Tolentino. Per questo motivo l’opera è stata anche attribuita all’illustre pittore. Delle tre cappelle, tra loro comunicanti una volta, la prima era dedicata all’Immacolata, la seconda la seconda alla Vergine porgente il bambino a S. Corrado da Offida, la terza aveva sull’altare il quadro di Gesù risorto, in veste di ortolano a S. Maria Maddalena, ora nel battistero della Cattedrale, per la devozione tipica degli ortolani. Preziosi erano i tre paliotti degli altari di queste cappelle, in cuoio dipinto e lavorato. Ne resta solo uno, nella prima cappella, ora dedicata a S. Giovanni Bosco. La decorazione della cappella fu affidata al pittore tolentinate Francesco Ferranti.

Teatro Vaccaj e Casa Vaccaj

Tra il 1763 e il 1768 si sentiva l’esigenza di un luogo idoneo a rappresentazioni teatrali, tanto che furono inoltrate diverse richieste di un nuovo teatro stabile “ad imitazione di tutte le città ed anche piccole terre, per comune sollievo e divertimento del popolo”. Le proposte furono però respinte per ragioni di salvaguardia dei costumi.
Il teatro, con la sua elegante facciata, opera di Giuseppe Lucatelli, sorge sulla piazza omonima dal 1795, anno in cui fu terminato dopo l’approvazione del cardinal Carandini, prefetto della Sacra Congregazione del Buon Governo. Il 10 Settembre del 1797 giorno della festa di San Nicola, per una serie di eventi Napoleonici, il teatro fu inaugurato con il nome di Teatro dell’Aquila in onore del cardinale per l’aquila a due teste che compare nello stemma di famiglia.
Il teatro oggi non è visitabile internamente perché nel 2008 un vasto incendio lo ha seriamente danneggiato. Dopo oltre vent’anni di restauri, era stato riaperto al pubblico nel 1985 .
L’interno appariva con affreschi del Lucatelli, che oltretutto aveva dipinto i prospetti dei palchi con 33 tele a soggetti mitologici, e con uno straordinario lampadario in legno con ai bracci lumi di terra cotta. Cento anni dopo, nel 1881, a causa dei fumi del lampadario il teatro fu restaurato dal pittore Luigi Fontana e nello stesso anno fu cambiata la denominazione in “Teatro Nicola Vaccaj” con la rappresentazione di Giulietta e Romeo di questo musicista di Tolentino nato nel 1790 e morto nel 1848. Numerosi sono gli artisti illustri che hanno solcato il suo palco; da Eleonora Duse a Pietro Mascagni.
C’è una casa dietro l’ex albergo della Corona a Tolentino dove soggiorno la proprio divina Eleonora Duse, una targa cosi la ricorda: NEL MILLEOTTOCENTOSETTANTANOVE, CONOBBI L’AFFANNO E LE VEGLIE DI ELEONORA DUSE, MISERA TENACE EROICA, QUI SOGNAVA LA GLORIA, ORA NELL’UMILE ASPETTO DEL SUO TRIONFO, M’ILLUMINO — LE FILODRAMMATICHE PICENE NEL I CONGRESSO REGIONALE MCMXXVI.
Pietro Mascagni invece fu ospite, durante la famosa stagione lirica del 1905, proprio dell’Albergo della Corona di cui giudico “succulenti” i suoi pasti, tanto da rinunciare ad un invito presso una famiglia patrizia, per un bel piatto di “fagioli con le cotiche” preparato espressamente dal proprietario dell’Albergo.
L’ex Albergo della Corona, oggi è abitazione privata. L’albergo traeva origine da una antica locanda dello stesso nome, esistente già nel 1597. Questo albergo, era rinomato per l’accoglienza famigliare, per i pasti casalinghi del ristorante. Giacomo Casanovaricorda la locanda nelle sue memorie durante il suo viaggio a Roma. Il 15 marzo 1790 in un appartamento dell’albergo nacque il musicista Nicola Vaccaj. Poco prima del 1915 l’albergo venne chiuso.

Originally published at blog.appnauta.com on August 25, 2015 with 1589 views

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Mariano Pallottini

Scrivo di patrimonio culturale, identità e rigenerazione culturale dei borghi, turismo, marketing digitale.